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10 maggio 2024
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Giorgiana Masi, studentessa uccisa dallo Stato
di Armando Reggio

Studentessa romana 19enne allo scientifico, Giorgiana militava in 'Lotta continua'. Era attiva nei movimenti da che era appena adolescente: la domenica mattina andava a distribuire il giornale, allora molto diffuso negli ambienti di sinistra, giovani del PCI compresi.

Del resto, era una bella consuetudine in quegli anni di lotte e di attentati, di fermenti di buona politica e di conquiste sociali e civili: ci si incontrava, conosceva, si dibatteva, condivideva...

Posso testimoniarlo per 'L'Unità'...e quale, e quanto, era l'impegno ideale, andando nei quartieri popolari a diffondere il quotidiano nelle case dignitosissime dei lavoratori, dove mai mancavano i classici della 'Einaudi', venduti a domicilio e pagati a rate mensili agli stessi ragazzi, che passavano per percepire la quota così come avevano bussato porta a porta.

Giorgiana era davvero in gamba: trovava il tempo per frequentare un collettivo (parola sovversiva oggi!) femminista.

Quel 12 maggio del '77 manifestava con i Radicali per festeggiare il terzo anniversario della vittoria al referendum sul divorzio, quando la legge fu confermata dal 60% degli Italiani. Ma cadde, colpita alle spalle da un proiettile proveniente da ponte Garibaldi, dove erano schierate le forze di polizia in assetto antisommossa, con caschi e manganelli.

Come oggi. Giorgiana fuggiva proprio dalle cariche della polizia, che evidentemente sparava nel 'mucchio'.

Quattro anni prima il 20enne milanese Roberto Franceschi era stramazzato al suolo, anche lui colpito alle spalle, anche lui per per il proiettile di un poliziotto.

E non furono gli unici ragazzi a morire per mano dello Stato, oltre che fascista, negli anni della passione, dell'entusiasmo, della lotta per una società giusta. Delitti rimasti impuniti!

Quegli anni certo erano 'di piombo' e la tensione era altissima. Peraltro il 1977 fu un anno cruciale per gli antagonisti armati.

Ministro dell'Interno era Francesco Cossiga, che, con un provvedimento inedito, aveva vietato le manifestazioni per ben 5 settimane - fino al 30 maggio - compreso il 25 aprile!

Fu un gravissimo attentato alle libertà costituzionali. Ma Marco Pannella sfidò quell'ingiusto divieto, convinto com'era del valore della disobbedienza civile non violenta.

Va detto: noi militanti del PCI, insoddisfatti della timidezza dei dirigenti circa la rivendicazione dei diritti civili, trovammo nei Radicali la determinazione che cercavamo. La condividemmo entusiasti e fiduciosi, pur non 'diventando' radicali.

La loro concezione liberista in economia ci era assolutamente estranea, come ancor oggi. Così, quella domenica in tanti si ritrovarono in piazza Navona, dove non mancarono i 'banchetti' radicali.

Infatti, per celebrare il terzo anniversario della vittoria nel referendum sul divorzio il 12 maggio 1974, i pannelliani organizzarono comunque una festa in piazza Navona, disseminata dei banchetti di raccolta firme per nuovi referendum, tra cui quelli per la depenalizzazione dell’aborto e per l’abolizione della legge Reale, risalente a due anni prima, che aveva inasprito le misure repressive in materia di ordine pubblico, reintroducendo il fermo di polizia e ampliando la possibilità di usare le armi da parte delle forze dell’ordine. La legge, che di fatto istituzionalizzava la licenza di uccidere...e tanti ragazzi ne morirono ammazzati, inclusa Giorgiana. Anche nell pomeriggio i manifestanti furono pacifici, rispondendo con la nonviolenza alle provocazioni dei lacrimogeni degli agenti presenti minacciosi in numero spropositato.

Verso sera, quando tutto sembrava finito, Giorgiana con il suo ragazzo Gianfranco Papini - studente 21enne di psicologia - e un migliaio di compagni stavano allontanandosi, quando al ponte Garibaldi si imbatterono in un altro schieramento di poliziotti e carabinieri. Ne nasce un ennesimo scontro: sulle 20:00 gli agenti caricano a colpi di pistola oltre che di manganello.

Colpiscono Giorgiana alle spalle, mentre corre per mettersi in fuga, per trovare riparo. Altri ragazzi inermi rimangono feriti.

Certo è che, come Giorgiana morì, così i tre poliziotti che le spararono seguitarono a vivere, impuniti. Com'era prevedibile, l'assassinio di Giorgiana inasprì gli animi, indusse alla vendetta gli attivisti violenti, come era accaduto due mesi prima per l'omicidio di Francesco Lorusso a Bologna. Due giorni dopo, infatti, durante una manifestazione milanese di protesta proprio per Giorgiana, degli autonomi uccisero un agente, Antonio Custra.

Quel giorno venne scattata l'immagine-simbolo degli "anni di piombo" dove è inquadrato un ragazzo - poi identificato in Giuseppe Memeo - che, piegato sulle gambe e in passamontagna, prende la mira a due mani, ad altezza d'uomo, con la pistola (la foto è allegata al post). Le reazioni politiche furono pressoché tiepide, considerata la gravità dell'episodio: va senz'altto riconosciuto, ancora ai Radicali di Marco Pannella, che manifestarono numerose volte per la verità, anche in Parlamento (dove chiesero l'istituzione di una Commissione d'Inchiesta, non accolta!), ma inascoltati.

E anche giudiziariamente: a gennaio 1978 gli avvocati Luca Boneschi e Franco De Cataldo assunsero la difesa di parte civile dei familiari di Giorgiana, mpegnandosii strenuamente soprattutto sulle perizie balistiche.

Con loro si schierò il 'Centro Calamandrei', che nel 1979 pubblicò un 'libro bianco' sul caso.

A maggio 1981, tuttavia, nonostante una perizia del tribunale del gennaio precedente avesse convalidato alcuni dati cruciali emersi da quella disposta dalle parti civili, il Giudice Istruttore Claudio D’Angelo depositò una sentenza, in cui dichiarò di "non doversi procedere per essere rimasti ignoti gli autori dei reati", di fatto difendendo e assolvendo l’operato della polizia quel 12 maggio 1973.

Ma i periti cosa appurarono? Concordarono sul fatto che Giorgiana fosse stata uccisa da un proiettile sparato da una lunga distanza, parallelamente al terreno, e proveniente dal lato del ponte Garibaldi, dove c’erano solo poliziotti in assetto antisommossa. Proiettili di quel tipo, tuttavia, non erano ufficialmente in dotazione alle forze dell’ordine.

Quel giorno, però, erano in servizio fra i 50 e i 60 agenti in borghese. Ma solo 25 di loro furono interrogati! E, per paradosso, l’avvocato Boneschi finì per essere processato per diffamazione insieme al giornalista Vittorio Emiliani (allora direttore de 'Il Messaggero', querelati - pensa tu! - dal giudice D’Angelo.

L'accusa era di aver criticato il modo in cui il provvedimento era stato motivato, affermando che le autorità di polizia e di Governo non avevano fornito la necessaria collaborazione al giudice.

Lo stesso Boneschi, per richiamare l’attenzione sulla mancata giustizia nel caso Masi, si dimise dalla Camera dei Deputati. Ma il suo gesto non sortì alcun effetto e passò quasi sotto silenzio.

E Francesco Cossiga fu evidentemente contraddittorio sul proprio operato al Viminale, prima riconoscendo gli errori, poi ritrattando, alla sua ambigua e sinistra maniera. Peraltro, mai fu ascoltato in tribunale!

Non mancarono episodi controversi, infine, puntualmente passati inosservati: è lecito arguirlo.

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