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11 maggio 2022
di Rossella Ahmad

Solo chi non conosceva Shirin Abu Akla può non comprendere il senso di perdita che abbiamo provato noi, che invece la conoscevamo fin troppo bene, questa mattina alla notizia della sua esecuzione. Perchè si è trattato di un'esecuzione, senza dubbio.

Shirin copriva quel territorio da almeno vent'anni, era un volto più che noto anche alle forze di occupazione e si era sempre contraddistinta per il suo coraggio assoluto, per la sua determinazione a narrare gli eventi nel luogo stesso in cui essi accadevano, senza mai un tentennamento.

Persino durante il grande massacro culminato poi con la strage di Jenin, lei era lì, impegnata a schivare pallottole mentre mostrava le strade dilaniate della Cisgiordania, e le chiese e le moschee piene di civili che chiedevano aiuto nell'indifferenza della cosiddetta comunità internazionale.

Particolare non secondario: l'assoluto garbo con cui si presentava, unito ad una presenza fisica sempre più che in tiro. Era una forma di innato rispetto della giornalista verso chi la ascoltava, pur operando da uno dei luoghi più disperanti della terra. Ciò a dimostrazione che non occorre trasformarsi in befane per avere credibilità...

Mancherai tantissimo, mancheranno le tue dirette dai punti più caldi della Cisgiordania e, soprattutto, mancherà il tuo saluto, sempre uguale, quasi cantilenante: "Shirin Abu Akla, Ramallah muhtala, Filastin".

"E non dite che sono morti quelli che cadono testimoniando, perché sono vivi e non ve ne accorgete".

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