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19 aprile 2024
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Massimo Bordin, giornalista antifascista e difensore dei diritti
di Cristiano Bordin

Nell'anniversario della scomparsa di Massimo, abbiamo chiesto a Cristiano, che nell'Osservatorio scrive di diritti, di preparare un ritratto, intimo ma anche pubblico, di suo fratello, un gran giornalista e garantista che i fascisti temevano. Un testimone e autore di un pezzo di storia italiana. Non ci sembrava infatti adeguato ad un personaggio di tal portata umana e professionale riportare una mera biografia, rischiando peraltro di cadere nell'agiografia.

Il 17 aprile di cinque anni fa, se ne andava Massimo Bordin. Mio fratello.
Una malattia fulminante: dalla diagnosi alla scomparsa, pochi mesi appena.

Moltissime le commemorazioni in quelle giornate, fino ad un saluto dove la gente era veramente tanta e la sala davvero troppo piccola. Molti infatti sono rimasti fuori, in strada.

Massimo possedeva una dote che pochi avevano: si faceva ascoltare da tutti, senza però lisciare il pelo a nessuno. Era ruvido ma sapeva confrontarsi anche con chi era distante da lui: e questo, forse, è stato il segreto del suo successo.

Arriva a Radio Radicale dopo un lungo apprendistato politico iniziato negli anni immediatamente precedenti al ‘68. E’ nei movimenti dell’epoca che si forma, partecipando attivamente alla vita politica di quella stagione. Incrocia varie appartenenze: significativa quella trotzkista con la Quarta Internazionale, prima con i Gruppi Comunisti Rivoluzionari diventati poi Lega Comunista Rivoluzionaria. Il rapporto con Livio Maitan, che potremmo definire un po’ il padre del trotzkismo italiano, lascia sicuramente tracce nel suo percorso. Percorso in cui compare la sua prima esperienza radiofonica, con Radio Città Futura.

E in quegli anni, proprio quando lavorava alla radio, subì una aggressione da parte dei fascisti.

Ero giovanissimo, andavo ancora a scuola e non ricordo esattamente che anno era, ma in quegli studi ci entrai anch’io per andare a trovarlo. Ero emozionato, ma di quella mattina mi ricordo ancora quasi tutto. Lo studio, l’odore di carta nelle stanze, l’atmosfera di quel posto. Per me, ragazzino che da Roma si era trasferito al nord ma in provincia, si aprì un mondo.

Lui chiuse quell’esperienza e andò a lavorare a Radio Radicale qualche anno dopo, eravamo già negli anni ‘80. Si iscrive anche al partito radicale. Ma vive quell’esperienza con caratteristiche tutte sue, tanto che alla fine le dimissioni da direttore diventano inevitabili. Non ce la faceva più. Rimane a lavorare in radio ma il distacco da Pannella è definitivo.

Ma è a Radio Radicale che costruisce il suo percorso di giornalista: con lo speciale giustizia, seguendo direttamente i processi. Quello a Tortora, con le sue corrispondenze lo fa conoscere, ma segue anche i vari processi Moro, il processo 7 aprile e tanti altri. Inquadra perfettamente i meccanismi della giustizia, li racconta, li svela, li critica.
Nell’archivio Bordin, che si trova online sul sito di Radio Radicale - frutto di un grande lavoro - si possono vedere i suoi taccuini ed i suoi appunti: quello che stupisce è l’ordine, la chiarezza nello scrivere le sue annotazioni.

Ho un altro ricordo: ero a Roma e lo seguii a Napoli dove c’era una udienza di un maxi processo alla camorra. Anche qui ho due immagini che mi resteranno sempre nella memoria: le gabbie affollatissime, e, nella pausa, le donne che parlavano ai loro uomini dalle tribune. Parlavano tutti e tutte insieme in un frastuono incredibile ma, non si sa come, sembrava che tutti riuscissero a capire tutto.
In quello scenario si muoveva come un pesce nell’acqua: tornando a Roma ricordo che uno degli argomenti fu i soprannomi dei camorristi. Quel giorno vinse Capa Vacante.

Lo accompagnai, sempre negli anni ‘80, ad un altro processo, a Mestre, collegato alle trame nere del decennio precedente. L’atmosfera era decisamente meno colorata: uscendo incrociammo Pino Rauti che telefonava alla moglie e la rassicurava che tutto era andato bene. Per lui, ovviamente. Per noi meno, visto che la figlia è oggi sottosegretaria nell’attuale governo.

Massimo era nato per fare il giornalista, non avrebbe potuto fare nessun altro mestiere. E il giornalismo è stata la sua vita. Si è praticamente inventato un genere, la rassegna stampa, rendendo la sua voce inconfondibile come le sue pause, i colpi di tosse, i “vabbè” che diventarono un po’ la sua firma.
Dietro tutto questo, c’era però un lavoro di approfondimento continuo, lo studio, la curiosità, la voglia di scavare sempre. Qualità non molto praticate nel giornalismo di oggi. E il mezzo con cui esprimeva tutto questo non poteva che essere la radio.
Non amava molto la tv e il giornalismo televisivo, men che meno i talk show. Mi ricordo un suo commento a questo proposito: “Vedere Tizio che litiga con Caio? E che serata è? Preferisco leggere un libro o guardare un film”. Non era quello il suo mondo.

Un peccato che non si sia dedicato, o si sia dedicato poco, alla scrittura: aveva una grande cultura e moltissime passioni letterarie. E’ stato tante cose, Massimo ma ha vissuto ogni cosa a modo suo. Politicamente il suo percorso lo ha fatto approdare al socialismo liberale: significativo il suo rapporto con Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci.

Scriveva per la sua rivista, “Le ragioni del socialismo” ma soprattutto gli piaceva confrontarsi e parlare con lui. Tanto che, tra i molti articoli e tra i tanti ricordi pubblicati sui giornali nei giorni immediatamente successivi alla sua scomparsa, , quello di Macaluso è stato il più centrato di tutti. Per lui comunque la radio, il giornalismo, erano tutto. Fino all’ultimo.

In rete si può trovare anche la sua ultima rassegna stampa: non sono mai riuscito a vederla. Ci ho provato, ma non ce l’ho fatta.
Preferisco ricordarlo con un’altra immagine: quando veniva a prendere alla stazione me e mia moglie che scendevamo a trovarlo nel periodo delle feste natalizie. La prima volta che ci vide insieme fu davvero divertente: il nostro vissuto, il nostro stile di vita era diverso dal suo. Rimase colpito dagli zaini e ho ancora impresso il suo sguardo e probabilmente quello che avrà pensato: “Ma guarda questi come girano che sembrano dei montanari!”. Così era anche nelle discussioni che su molti argomenti ci vedevano su posizioni diverse , se non quasi opposte.

Ma Massimo era la persona che pur pensandola in modo diverso da te, riusciva sempre a darti uno spunto di riflessione ulteriore, ti portava ad approfondire, a verificare. Con lui discutere non era mai tempo perso. Del resto aveva una memoria e una capacità di mettere a fuoco i fatti davvero incredibile

E comunque la si pensi, per il giornalismo, ma anche proprio per il dibattito pubblico del nostro paese, non sentire più la sua voce è una grandissima perdita.


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