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18 aprile 2024
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Juan Gelman, memoria vivente del fascismo argentino
di Antonella Salamone

“La poesia e’ una forma di resistenza, lo è scrivere; resistenza a un mondo sempre piu’ crudele, terribile, disumanizzante” Juan Gelman

Juan Gelman è stato un poeta, scrittore, giornalista argentino. Nel 2007 gli è stato concesso, a Madrid, il premio Cervantes. E alcuni tra i più grandi poeti latinoamericani l’hanno definito come il più grande poeta vivente di lingua ispanica.

Il 26 maggio del 1976, organi para-militari della Forze Armate Argentine sequestrarono i suoi figli Nora Eva, di diciannove anni e Marcelo Ariel, di venti, insieme a sua nuora María Claudia Iruretagoyena, di diciannove, la quale si trovava al settimo mese di gravidanza.

Suo figlio e la sua compagna sparirono nel nulla, assieme a quel bambino che la donna portava in grembo. Della sua nascita, Gelman ebbe notizie soltanto due anni dopo.

Il 7 gennaio del 1990, l’ Equipo Argentino de Antropología Forense identificò i resti di suo figlio Marcelo, all’interno di un bidone riempito di cemento. Era stato assassinato con un colpo alla nuca.

Nel 1998, Gelman scoprì che sua nuora era stata trasferita in Uruguay, che era stata mantenuta in vita fino al giorno in cui aveva partorito una bambina, all’Ospedale Militare di Montevideo, e fatta sparire subito dopo.

Cominciò così la ricerca spasmodica della nipote alla quale era stata sottratta ogni cosa, la sua storia, i suoi genitori, la sua identità.

Lettera aperta a mia o mio nipote:

“Tra sei mesi compirai 19 anni. Sarai nato nel 1976, un giorno qualunque di ottobre, in un campo di concentramento. Poco prima, o poco dopo la tua nascita, nello stesso mese e nello stesso anno, assassinarono tuo padre con un colpo di rivoltella alla nuca, a meno di mezzo metro di distanza. Lui era inerme, e ad assassinarlo fu un commando militare, forse lo stesso che lo aveva sequestrato insieme a tua madre il 24 agosto a Buenos Aires per portarli al campo di concentramento Automotores Orletti, nel quartiere Floresta, che i militari chiamavano “Il Giardino”.

Tuo padre si chiamava Marcelo. Tua madre Claudia. Avevano 20 anni, e tu sette mesi nel ventre materno, quando accadde. Lei la spostarono, e tu con lei, quando fu sul punto di partorire. Deve averti dato alla luce sola, sotto gli occhi di un qualche medico complice della dittatura militare. Ti hanno tolto da lei e sei finito – come accadeva sempre – tra le mani di una famiglia sterile di qualche militare o poliziotto, o giudice, o giornalista amico di militari o poliziotti.

A quel tempo c’era una sinistra lista d’attesa per ogni campo di concentramento: gli iscritti aspettavano di prendere il figlio rubato alle prigioniere, che partorivano e poi – quasi sempre – venivano assassinate subito dopo. Sono passati dodici anni da quando è caduta la dittatura militare, e non si sa niente di tua madre. I resti di tuo padre, invece, furono trovati 13 anni dopo in un barile che i militari avevano riempito di cemento e sabbia e buttato nel fiume San Fernando. Ora è sepolto a La Tablada. Perlomeno con lui hai questa certezza. E’ molto strano per me parlarti dei miei figli come tuoi genitori che non furono. Non so se sei maschio o femmina. So che sei nato. Me lo ha assicurato padre Fiorello Cavalli, della Segreteria di Stato Vaticana, nel febbraio del 1978. Da allora mi chiedo qual è stato il tuo destino. Sono assalito da pensieri contraddittori.

Da una parte, mi ha sempre ripugnato l’idea che tu chiamassi “papà” un militare o un poliziotto che ti ha rubato, o un amico degli assassini di tuo padre. Dall’altro, ho sempre voluto che qualunque fosse stato il tetto che ti ha accolto, ti allevassero e educassero con amore. Tuttavia non ho mai potuto fare a meno di pensare che, anche così, il loro amore per te doveva avere una qualche crepa, non tanto perché i tuoi genitori di adesso non sono quelli biologici – come si dice – quanto per la consapevolezza che essi hanno della tua storia e per la falsificazione che ne hanno fatto. Immagino che ti hanno mentito molto.

In tutti questi anni ho anche pensato a cosa avrei fatto se ti avessi incontrato: se strapparti dai tuoi genitori adottivi o parlare con loro per stabilire un accordo che mi permettesse vederti e accompagnarti, ma sempre con la condizione che tu sapessi chi sei e da dove vieni. Il dilemma sorgeva ogni volta – e sono state tante – che si presentava la possibilità che le Nonne di Plaza de Mayo ti avessero incontrato. Sorgeva in modo differente, a secondo dell’età che tu avevi quel momento.

Mi preoccupava che tu fossi troppo piccolo o piccola – o non più abbastanza piccolo o piccola – per capire perché non erano tuoi genitori chi credevi fossero i tuoi genitori e probabilmente amavi come tali. Temevo che avresti patito così una doppia ferita, un colpo d’accetta nel tessuto del tuo essere in via di maturazione. Ora però sei grande. Puoi sapere chi sei e decidere poi cosa fare con coloro a cui fosti affidato. Ci sono le Nonne, con la loro banca dati del sangue che permette determinare con precisione scientifica l’origene dei figli dei desaparecidos. La tua origine. Ora hai quasi l’età dei tuoi genitori quando furono uccisi, e presto sarai più vecchio di loro. Loro si sono fermati per sempre a 20 anni.

Sognavano di te e di un mondo più vivibile per te. Mi piacerebbe parlarti di loro, e che tu mi parlassi di te. Per riconoscere in te mio figlio, e perché tu riconosca in me quello che ho di tuo padre: siamo tutti e due orfani di lui. Per riparare in qualche modo questa lacerazione brutale, questo silenzio che la dittatura militare ha perpetrato nella carne della nostra famiglia. Per darti la tua storia, non per allontanarti da chi tu non voglia allontanarti. Ormai sei grande, come ho detto.

I sogni di Marcelo e Claudia ancora non si sono avverati. A parte tu, che sei nato e sei chissà dove e con chi. Forse hai gli occhi grigio-verdi di mio figlio, o quelli castani di sua moglie, che avevano una luce molto speciale, tenera e maliziosa. Chissà come sarai, se sei maschio. Chissà come sarai, se sei femmina. Chissà che tu possa uscire da questo mistero, per entrare in un altro: quello dell’incontro con un nonno che ti aspetta”.

Nel 2000, Andrea, la nipote di Juan Gelman, fu ritrovata. Era stata data in adozione a una di quelle “famiglie per bene”, designate dai militari per allevare i figli e i nipoti degli oppositori assassinati. Dopo la verifica dell’identità, la ragazza decise di riprendere i cognomi dei suoi veri genitori, e di riavere in mano la sua storia. Ora si chiama Marìa Macarena Gelman Garcìa.

Il 25 aprile 2008, a Juan Gelman venne chiesto di depositare un messaggio nella Caja de las Letras dell’Istituto Cervantes di Madrid, la quale non sarà aperta fino all’ anno 2050. La Caja de las Letras conserva nelle sue cassette di sicurezza più di 60 lasciti che dal 2007 depositano personalità - uomini e donne – come memoria vivente della cultura della Spagna e dei paesi di lingua spagnola.


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