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17 aprile 2024
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La balena di Kappler
di Rinaldo Battaglia *

Poco più in un anno fa la Seconda Carica dello Stato nel podcast "Terraverso" di Libero Quotidiano arrivò a dire che le S.S. uccise il 23 marzo 1944, nell'attentato di via Rasella, “non erano biechi nazisti delle SS ma una banda musicale di semipensionati, altoatesini (in quel momento mezzi tedeschi, mezzi italiani)”. Il presidente La Russa toccò quel giorno storicamente un punto molto basso, ma quel che a me risultò offensivo fu il fatto che nessun giornalista presente sia subito intervenuto per controbattere quella ‘falsità storica’. Chi ha avuto modo di studiare l’attentato di Via Rasella sa bene che quelle risultavano truppe dell'11ª Compagnia delle SS-Polizeiregiment "Bozen, un importante reparto militare della Ordnungspolizei (polizia d'ordine) della Germania nazista, creato in Alto Adige già nell'autunno 1943, formato da coscritti altoatesini mentre gli ufficiali e i sottufficiali provenivano direttamente dalla Germania.

Per Kappler erano uomini di assoluta fiducia, a cui ricorrere nei ‘momenti critici’. E in quei giorni, precisamente dal 21 marzo a Roma Kappler stava praticando una seconda retata sugli ebrei, dopo quella micidiale del 16 ottobre ’43 che permise allora ai nazisti e ai fascisti di Roma di arrestare ben 1.259 persone, di cui 1.023 appartenenti alla comunità ebraica (poi spediti nei lager di sterminio e solo 16 si salveranno).

Quel giorno né il Presidente La Russa né i giornalisti spesero una parola di quello che a Roma stava succedendo, per meglio spiegare il contesto storico dell’attentato di Via Rasella e il ‘momento critico’ allora per Kappler. Non ne so le motivazioni, ma non lo fecero.

In quel momento, infatti, i nazisti dopo lo sbarco alleato di Anzio del 21 gennaio e la sconfitta dei due mesi successivi, con conseguente oramai ritirata, sul fronte di Cassino erano in chiara difficoltà. E i fascisti di Roma e le bande di criminali comuni che operavano assieme – come la banda Koch – messe ancora peggio.

In quel momento i nazifascisti erano in chiara difficoltà e non potevano permettersi che, nelle loro truppe a loro difesa, vi fossero soldati che si comportavano come “una banda musicale di semipensionati, altoatesini”. Assolutamente no: sarebbe stato illogico e da dilettanti e – ed è la Storia a dirlo, piaccia o meno al Presidente La Russa e al coro di giornalisti inermi che lo ascoltavano quel giorno - Herbert Kappler avrà avuto, da criminale quale era, mille difetti ma non certo limiti di logica e di dilettantismo. Ma, questo sì, in quel momento a Roma interi quartieri gli stavano, per davvero, sfuggendo di mano. In particolare il ‘Quadraro’, quello che andava da via Tuscolana a via Casilina, essenziale dal punto di vista strategico perché chi controllava il Quadraro controllava automaticamente anche la via Appia e l’aeroporto militare di Centocelle.

Il Quadraro era vitale, quindi, malgrado fosse situato alla periferia sud di Roma. Qui, da mesi, operavano i partigiani del Gruppo di Azione Patriottica – GAP dell’VIII Zona e, soprattutto, la cosiddetta ‘Banda Rossi’, perché affiliata al movimento ‘Bandiera Rossa’ dal nome del giornale clandestino. Quest’ultima peraltro aveva la base operativa proprio nel Quadraro, presso l’ex sanatorio di Villa Ramazzini.

E dal Quadraro – il grande storico Giorgio Giannini, presidente del Centro Studi Difesa Civile purtroppo scomparso improvvisamente lo scorso settembre 2023, lo descriveva in più suoi documenti – soprattutto di notte, partivano azioni su larga scala “compiendo attentati e sabotaggi alle linee di comunicazione, e che trovano, nelle grotte del quartiere e nelle case degli abitanti del quartiere, un facile e sicuro nascondiglio dopo le azioni militari”.

Per meglio inquadrare lo scenario della primavera ’44 va subito precisato che, anche e soprattutto, “la popolazione del Quadraro, di umili condizioni sociali, costituita in parte anche da sfollati dalle zone del fronte che non ne potevano più della guerra, aveva un atteggiamento sprezzante verso i bandi del Comando tedesco e un costante atteggiamento di non collaborazione con i tedeschi e di aperta solidarietà con i perseguitati politici ed i partigiani, che pertanto trovavano un sicuro rifugio nel quartiere”. E se l’atteggiamento era ‘sprezzante’ verso il nemico invasore, figuriamoci com’era verso i fascisti e le bande criminali, che operavano per i fascisti o venivano pagate dai fascisti, dopo la retata vigliacca del 16 ottobre.

La Banda Rossi inoltre era molto ‘stimata’ nel quartiere (e non solo lì) anche per puro ‘interesse economico’, perché nella primavera del ’44 a Roma la fame era fame. Solo il 7 aprile le donne disperate nel vedere la sofferenza dei loro bambini avevano assaltato il forno Tesei, sul ‘ponte di ferro’ per rubare il pane e la farina - come nella Milano di Renzo e Lucia – e i nazisti di Kappler, da vili assassini e non certo da ‘semipensionati musicali’, avevano risposto sparando loro addosso e uccidendo 10 madri di famiglia. Qualcuna venne persino impiccata agli alberi del ponte e lasciata lì a monito per le altre. L’attentato contro la ‘banda musicale di semipensionati’ era avvenuto solo due settimane prima a pochi chilometri.

Scriveva, infatti, Giorgio Giannini che a Roma nel ’44 i molini ed i panifici del Quadraro fornivano ogni giorno diversi quintali di farina e di pane per le necessità del “Soccorso rosso” e della distribuzione di pane e farina, alle famiglie bisognose e delle vittime politiche, se ne occupava direttamente la Banda Rossi. L’azione, di cui era beneficiaria anche la popolazione locale, era chiamata non a caso “Soccorso rosso”. La gente di Roma pertanto giorno su giorno diventava sempre più solidale con i partigiani e sempre più ostile con nazisti e i fascisti. Anche solo per motivi di fame. Del resto Bertolt Brecht da anni scriveva che ‘prima viene lo stomaco, poi la morale’.

E prima e dopo l’attentato di Via Rasella e del massacro delle Fosse Ardeatine le azioni dei partigiani erano un pericolo quotidiano per gli uomini di Kappler. Si andava dal “seminare i chiodi e treppiede (a quattro punte) sulle strade per bloccare il transito dei camion tedeschi” che portavano truppe e rifornimenti al fronte di Anzio, – riprendo parole di Giorgio Giannini – si proseguiva col tagliare i fili del telefono, col rubare “armi negli impianti militari della zona (Forti Prenestino e Acqua Santa, aeroporti di Centocelle e di Ciampino)”, dall’assaltare direttamente loro i forni che fornivano il pane alle caserme naziste e fasciste di Roma per prendere la farina ed il pane da distribuire poi alla popolazione più bisognosa. Il tutto in piccoli ma continui attentati alle truppe occupanti.

Ovviamente Kappler da padrone di Roma non poteva restare a guardare ed ecco quindi la necessità di ricorrere anche a truppe ‘esterne’ a Roma, meno legate alla fame della città, più ciniche e ‘severe’ o meno ‘coinvolte’. Soprattutto quando capì, e decise, di intervenire al Quadraro e sulla popolazione del Quadraro. Se quel quartiere era il fulcro, della Resistenza della capitale, era lì che bisogna estirpare il male. A dire il vero erano già da mesi che i nazisti cercavano di ‘controllare’ quella zona “usando anche delle vere e proprie trappole per la cattura dei ricercati”. Ma tutto questo non aveva che prodotto l’effetto opposto, fortificando gli animi e rafforzando la determinazione degli abitanti alla lotta e alla resistenza.

Poteva durare? L’uomo dei rastrellamenti contro gli ebrei del 16 ottobre ’43 e del 21 marzo ’44, il criminale delle Fosse Ardeatine, l’assassino che - col forte consenso e attiva partecipazione del nostro generale Rodolfo Graziani – il 7 ottobre ’43 aveva spedito 2.000/2.500 carabinieri romani nei lager del Terzo Reich, poteva restare a guardare? Con gli Alleati, peraltro, in arrivo a breve? La risposta arrivò lunedì 17 aprile 1944, 80 anni fa. Kappler lo chiamò “piano Unternehmen Walfisch” che i fascisti italiani tradussero subito in “Operazione Balena” perché doveva essere grande e maestosa come una balena e tale ‘mangiare’, eliminandoli per sempre, tutti i piccoli pesci che le giravano attorno. Un’operazione decisiva, finale, un’operazione capestro, tale - lo confermerà più volte anche l’allora console tedesco a Roma Eitel Friedrich Moellhausen nella sue memorie – da “farla finita con quel nido di vespe” operativo dal Quadraro e nel Quadraro.

Arrivò solo il 17 aprile, ma Kappler lo stava preparando già da molte settimane. Anche ben prima dell’attentato di Via Rasella e non è da escludere che parte dell'11ª Compagnia delle SS-Polizeiregiment "Bozen, ossia quella “banda musicale di semipensionati altoatesini”, fosse arrivata lì anche per l’Operazione Balena. E, se non specificatamente per quella, di certo nel contesto generale che aveva nella ‘Balena’ il fulcro principale.

E come sempre si aspettava il momento ideale, il pretesto per rendere tutto più giustificabile anche agli occhi dell’opinione pubblica italiana, ancora in molti angoli legata o succube al Duce o in parte ancora perfettamente filofascista. Perché ogni scusa, ora pretesto era buono. Già in precedenza, il 3 marzo ’44, i partigiani del GAP dell’VIII Zona aveva ucciso il commissario di polizia di Torpignattara, Armando Stampacchia. Il giorno dopo Kappler ordinò di anticipare da allora l’inizio del coprifuoco alle ore 16.00 per i quartieri più ‘ostili’ (Quadraro, Torpignattara, Centocelle e Quarticciolo) e di porre una taglia di ben 200 mila lire per chiunque di quei quartieri ostili “avesse fornito notizie utili alla individuazione e alla cattura dei responsabili”. Una taglia di ben 200 mila lire in quegli anni di fame e carestia: un’enormità, un pasto al ristorante costava allora sulle 4 lire, un ebreo se uomo 5 mila, se donna 3 mila, un bambino 1.500 lire, il salario di un operaio per un anno di lavoro risultava mediamente di 4.238 lire, ossia 350 lire al mese.

Questa volta per dare il via all’Operazione Balena si sfruttò l’uccisione di due soldati tedeschi presso l’osteria della Torraccia di Cinecittà avvenuta il 10 aprile (la trattoria di Gigetto in via Calpurnio Fiamma). Un paio di giorni dopo, nel pomeriggio del lunedì di Pasqua, Giuseppe Albano, detto il "gobbo del Quarticciolo" assalì con la sua banda alcuni soldati tedeschi, uccidendone almeno tre, freddati a bruciapelo.

E per “farla finita con quel nido di vespe” Kappler ricorse in maniera pesante a uomini e mezzi. Si parla di interi reparti di SS, supportati da un Battaglione di paracadutisti, per oltre 800 uomini complessivamente, integrati da fascisti romani e da uomini della Banda Koch. Il tutto sotto il comando personale dello stesso Kappler, che sin dalle 3 del mattino aveva posto nella sede del cinema Quadraro il suo ‘quartier generale,’ e con il supporto ovviamente della Gestapo. Tanto per capire il ‘peso’ dell’Operazione Balena del 17 aprile 1944, va detto che per il rastrellamento del ghetto ebraico del 16 ottobre 1943 Kappler aveva utilizzato ‘solo’ 490 uomini, poco più della metà.

Kappler per esser sicuro del successo, nella sostanza aveva progettato il piano tutto da solo, senza tante collaborazioni di altri suoi uomini. Il piano Unternehmen Walfisch” (o “Operazione Balena”) era talmente segreto ‘in alto’ che nemmeno Berlino venne informata per tempo. Kappler al massimo era arrivato a fornire al generale Kurt Maeltzer, comandante della piazza di Roma, una copia del piano solo al momento di organizzare la ‘squadra’ e definire i vari ruoli. Anche quelli della Banda Koch. E la scelta degli uomini operativi fu solo e soltanto sua: solo truppe fidate e altamente selezionate, in pieno assetto da guerra (come anche per il battaglione di paracadutisti). Qui non c’era spazio – diciamolo pure - per “suonatori semi-pensionati altoatesini”, qui serviva il meglio del meglio perché la posta in gioco era alta.

E così avvenne. Ancora prima delle ore 4 del mattino di quel 17 aprile i nazisti circondarono totalmente l’intero quartiere del Quadraro, bloccando ogni strada e ogni via di accesso e di uscita. Poi iniziò il rastrellamento e le S.S. e i fascisti della Koch, guidati da Kappler e coadiuvati dalla Gestapo, iniziarono le perquisizioni, passando al setaccio il quartiere casa per casa. Cantine, soffitte, ripostigli: nulla fu escluso. Anche le fogne.

Tutti gli uomini dai 16 a 60 anni dovevano essere catturati, arrestati e trasferiti subito negli stabilimenti cinematografici di Cinecittà, che divennero ‘centro di raccolta’ e di ‘parcheggio’ di quei disperati in attesa di essere spediti nei centri di lavoro coatto o meglio nei lager del Terzo Reich.

Il lavoro fu scientifico, mirato, senza lasciare nulla al caso. Alla fine saranno quasi 2.000 gli arrestati e ben 744 a ‘selezione avvenuta’ i ‘trattenuti’. Comunque sempre e solo maschi e solo dell’età indicata. Tanto per esser chiari sulla gravità dell’operazione Balena, nella retata ebrea del 16 ottobre 1943 vennero arrestati ‘solo‘ 363 uomini e ragazzi di oltre 16 anni. Perché i rimanenti 896 ebrei, presi quel giorno, risultavano per lo più donne (689) e bambini (207).

A sera il lavoro risultava finito per Kappler. E lì parti, da un lato, l’azione di propaganda per essere applaudito a Berlino e congratulato dai fascisti del Duce e di Graziani: ”abbiamo catturato a Roma tutti i comunisti ed uomini che collaborano con essi o li appoggiano”. Dall’altro lato, un messaggio ai civili di Roma e ai loro supporter partigiani: il giorno 18 aprile il quotidiano ‘Il Giornale d’Italia’ pubblicò a grandi lettere il comunicato del Comando tedesco col titolo “Avvertimento alla popolazione romana”. Peraltro senza definire il quartiere colpito e la fattiva collaborazione dei soliti fascisti della capitale, dimostratisi ancora una volta come i cani da caccia al servizio del padrone, da usare quando e dove serve, ma sempre nel ruolo di cani. Mai nulla di più.

La notizia spaventò anche il Parroco della Chiesa di S. Maria del Buon Consiglio, don Gioacchino Rey, gran brava persona, che cercò subito di intervenire recandosi negli stabilimenti di Cinecittà per cercare di ottenere il rilascio dei prigionieri o almeno dei più giovani. Verrà cacciato quasi a pedate. Ma nessuno altro intervento dagli uomini della Chiesa, magari più altolocati di don Gioacchino anche perché non tutti così gran brave persone. Ma del resto perché meravigliarci: se nella retata ebrea del 16 ottobre il Papa Pio XII “mantenne un riservato silenzio” figuriamoci ora che questi erano stati definiti da Kappler “tutti i comunisti ed uomini che collaborano con essi o li appoggiano”.

I 744 prigionieri passarono due giorni pieni tra gli stabilimenti cinematografici di Cinecittà e a Grottarossa, dopo che erano stati divisi in quattro gruppi e lì portati con dei camion. Poi il giovedì – 20 aprile 1944 – furono tutti trasferiti a Terni, dopo a Bologna e quindi nel solito “campo di transito” di Fossoli alle porte di Carpi. Resteranno due mesi, ma una mattina – quella del 24 giugno 1944 – quasi tutti (sembra almeno 683 stando ai documenti di don Gioacchino Rey, che ha poi ‘studiato’ il destino dei suoi ‘parrocchiani’) fatti vestire con tute blu e scarpe bianche e messi con la forza su alcune corriere, ove era ben presente e visibile a tutti una scritta: “Operai italiani volontari per la Germania”. Al loro passaggio, già subito fuori Carpi, nella strada che li portava al Brennero, ogni qual volta che qualche italiano li vedeva partivano alla loro direzione, se andava bene, degli insulti ai massimi livelli, se andava male, dei sassi. Erano visti come dei traditori, fascisti e collaboratori. Peggio di così, cosa si voleva o poteva fare di più per umiliare quelle persone?

Qualcuno di loro riuscirà poi anche a scappare, anche dai lager stessi e alla fine, alla liberazione nell’aprile/maggio 1945 dei rispettivi luoghi di morte dove erano stati mandati, di certo 27 di loro non torneranno mai a casa. Si erano fermati per sempre in terra di Germania. Ma sui numeri non tutti sono dello stesso parere, anche dopo 80 anni. Tra i 683 conteggiati da don Gioacchino Rey, 16 risultavano per il parroco i deceduti; ma quest'ultimo dato, essendo relativo a un momento precedente al ritorno in Italia dei deportati sopravvissuti, è probabilmente incompleto e parziale. Qualcuno, come lo storico Robert Katz, parla invece che “dei deportati, solo la metà tornò al Quadraro”.

Non solo: altri danno numeri diversi anche dei deportati stessi alla data del 17 aprile 1944, a seconda delle analisi e ricerche storiche effettuate. Marisa Musu ed Ennio Polito ad esempio citano 744 deportati, Silverio Corvisieri 740, Enzo Piscitelli "almeno 800" e ancora Robert Katz "circa 750". Secondo, invece, la testimonianza di uno dei deportati, Sisto Quaranta (riportato anche da Sara Menafra, in: ’Il Quadraro libero e resistente’) il numero complessivo ammonterebbe a ben 947.

In ogni caso fu un crimine, dimenticato e nascosto a tutti. Pochissimi conoscono la Balena di Kappelr in Italia. Eppure. Eppure…. Giorgio Giannini dirà anni dopo, che studiando l’Operazione Balena, aveva capito che l’azione di Kappler aveva motivi ancora più profondi ed erano emersi subito, già “alcune settimane più tardi, quando vennero a Roma, in visita al Feldmaresciallo Kesselring, il responsabile del “Servizio del lavoro obbligatorio”, Fritz Sauckel. Lo scopo era quello di essere la prova generale per la grande ‘razzia’ dei romani che alti ufficiali nazisti volevano attuare prima di lasciare la città”. Questa criminale idea – il cui piano era stato da Kappler preparato nei dettagli - non andò in porto sia per l’arrivo degli Alleati a Roma prima del previsto, almeno nella testa di Kappler e di Kesselring, e per le difficoltà logistiche e di trasporto che già nell’estate ’44 gli uomini del Terzo Reich - Fritz Sauckel in primis - incontrarono causa l’andamento della guerra sempre più negativo per loro.

In ogni caso, anche studiando anch’io ‘l’Operazione Balena’ ho ancora meglio capito quanto forte sia in Italia l’ignoranza storica e quanto questa sia utile e serva al potere. Qualsiasi potere, avendo avuto negli ultimi 80 anni in Italia governi di diverso colore e cromatura. Quello attuale che scopre ‘il colpevole silenzio’ solo sulle foibe il 10 febbraio 2024 – tralasciando tutti gli altri crimini e a come si è arrivati nello specifico a quello delle foibe slave – ne è solo la punta dell’iceberg. E peggio ancora il Presidente del Senato che – come altri e/o più di altri - usa pagine di Storia per fare solo misera propaganda. E forse qualche persona dovrebbe spiegargli la differenza mastodontica tra la parola ‘storia’ e la parola ‘propaganda di partito’. Lecita, sia chiaro. Lecita ma risulta come una cosa ben diversa dallo studio storico, documentato, approfondito, accertato, prodotto senza pregiudizi o tessere di partito.

Io ho davvero capito, anche in questi recenti passaggi, come sia necessario che da noi la Storia vada ripassata, prima che sia la Storia da noi a ripassare. “Nella speranza – com’è scritto nella targa del monumento del Quadraro – che tutto questo non debba più accadere”.

La Storia va studiata soprattutto oggi, forse più di ieri. Sbaglio?

17 aprile 2024 – 80 anni dopo – Rinaldo Battaglia

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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