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12 aprile 2024
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Vestìo da omo
di Rinaldo Battaglia *

All’alba del 14 dicembre 1944, un treno di 400 disperati partì dal campo nazista di Bolzano destinato a Mauthausen: 7 vagoni per 50/60 uomini ciascuno, tutti candidati alla morte, nel gelo dell’inverno alpino, quasi senza mangiare e bere nulla. All’arrivo, 5 giorni dopo, 380 di loro saranno già morti. Se ne salveranno senza caprine il perché solo 20, tra questi anche un sacerdote anomalo: Andrea Gaggero. Si salverà anche da quel lager, da noi conosciuto come ‘il cimitero degli italiani’ e tornerà a casa. Ma sarà sempre osteggiato non però dai suoi amici o parrocchiani, bensì dall’alto della Santa Sede . Era anomalo, viveva il Vangelo di Gesù da povero tra i poveri, da morto di fame tra i morti di fame, da deportato nei lager tra i deportati del lager, da uomo di pace tra coloro che volevano nei fatti veramente la pace.

Pensate: sul finire del 1949, già conosciuto per la sua posizione ‘contro qualsiasi guerra’ nell’ambiente cattolico dell’immediato dopo-guerra e ai tempi già delle forti rivalità tra USA e URSS, venne invitato al 2° congresso del movimento europeo dei partigiani della Pace, fondato a Parigi pochi mesi prima (vi avevano partecipato 2.287 delegati di ben 72 paesi diversi, dall’Europa all’Asia) e che aveva lanciato il cosiddetto “appello di Stoccolma” per la messa al bando delle armi atomiche (che solo in Italia riuscì in breve a raccogliere oltre 14 milioni di firme).

E chiamato lui a parlare, in quel consesso, le sue prime parole lo identificarono immediatamente: “Io non sono qui in veste ufficiale a rappresentare la mia chiesa, ma porto la testimonianza di milioni di cattolici italiani e di centinaia di ottimi sacerdoti che sono tormentati nella loro coscienza per questa situazione.” Al discorso, che lesse con calore, aveva già dato un titolo preciso: “Una sola legge: l’Amore” e continuò con ripetuti riferimenti a Gesù Cristo: “tutti gli uomini sono un popolo solo, sono una sola famiglia, sono fratelli ed hanno un unico padre, Dio, ed un’unica legge: l’Amore”. Concluse poi con voce sicura che : “Siamo uomini di tutto il mondo e di fedi diverse e noi abbiamo tuttavia un unico obiettivo…Diamoci la mano, uomini di tutto il mondo, di tutte le fedi: siamo ancora divisi, ma abbiamo la chiara coscienza di venire da un’unica origine, di avere un'unica legge e di dover camminare verso l’unità assoluta nella pace”.

Colpì veramente gli altri delegati con quelle sue parole contro la guerra, contro l’uso della bomba atomica che 4 anni dopo Hiroshima e Nagasaki non aveva ancora smesso di uccidere. Colpì convintamente puntando sulla cooperazione tra i popoli ed invitando le 5 grandi potenze vincitrici (e già padrone della neonata ONU) ad evitare in futuro qualsiasi guerra, in qualsiasi angolo del mondo. Colpì fortemente per la sua semplicità e per i suoi continui richiami al Vangelo di Gesù tanto da esser eletto, subito, membro del Consiglio Mondiale dei Partigiani della Pace.

Era il 1949, il mondo aveva ancora più macerie nei cuori che nelle città di periferia. Aveva detto qualcosa di anomalo, contrario alla Chiesa di Roma? O forse meglio – scusate - del Vangelo di Gesù? Quella però fu la condanna di don Andrea Gaggero: Pio XII, il papa di Hitler, il sostenitore passivo di Mussolini (ma anche attivo nella firma del Concordato dell’11 febbraio 1929) di fatto lo cacciò dalla Chiesa. La collaborazione fra i cristiani e le loro organizzazioni ed i partiti e movimenti operai (socialisti o comunisti compresi) da Pio XII fu giudicata inaccettabile, figlia del demonio, inconcepibile. Si disse che quel movimento fosse stato ispirato e fortemente sostenuto (e finanziato) dall’Unione Sovietica, come se nessun altro movimento politico fosse allora stato sostenuto (e finanziato) dagli USA. La DC e molte organizzazioni più o meno segrete, più o meno occulte cosa furono?

Era il 1949, il Papa era fermo ad almeno 10 anni prima quando, pur di bloccare Stalin, avrebbe sposato qualsiasi Duce o Fuhrer di turno. Era ancora presente il suono delle sue parole alla notizia della vittoria di Francisco Franco, nella guerra di Spagna, il 1 aprile ‘39: «Oggi, con l'esercito rosso prigioniero e disarmato, le nostre truppe vittoriose hanno conquistato i loro ultimi obiettivi militari. La guerra è finita». Come resisteva ancora il suo silenzio assordante quando, solo 3 mesi dopo nel luglio ‘39, Galeazzo Ciano, quale ministro degli Esteri, lo visitò informandolo di cosa stesse facendo il suo ‘vincitore’ : «I processi quotidiani si svolgono con una rapidità che direi quasi sommaria [...] le fucilazioni sono ancora numerosissime. Nella sola Madrid dalle 200 alle 250 al giorno, a Barcellona 150; 80 a Siviglia, città che non fu mai nelle mani dei rossi».

Andrea Gaggero, rientrato nella sua città (era nato a Mele, un piccolo paese appenninico alle spalle di Genova, il 12 aprile 1916, come oggi 107 anni fa) e ritornato operativo a Genova ai tempi del cardinale Giuseppe Siri – legato alla vaticana Rat-line dell’arcivescovo Alois Hudal - dal cui porto partivano in quel periodo Mengele, Eichmann e altre migliaia di criminali nazifascisti verso il Sud America , fu subito richiamato in Vaticano “per sottoporsi a un processo del Sant’Uffizio”. Ci misero oltre due anni per tentare di fargli cambiare idea, ma non vi riuscirono. Come non erano riusciti i fascisti quando il 6 giugno ’44 (il giorno del D-Day) lo arrestarono e per 40 giorni lo torturarono nelle guardine della questura di Genova. Volevano sapere da lui, prete dopo l’8 settembre ’43 passato a collaborare coi partigiani liguri, il nome dei componenti del locale Comitato di Liberazione (tra cui un certo Sandro Pertini). E siccome non parlò, ad agosto, eccolo spedito a Bolzano e da qui il treno con biglietto di sola andata per Mauthausen.

In Vaticano terrà duro per oltre 2 anni “in stato di semi isolamento e in condizioni di grande indigenza”. Ma fu vano anche l’ultimo incontro col Sant’Uffizio, nell’aprile del ’53, quando gli vennero persino offerte prospettive di veloce carriera clericale (la Chiesa di Pio XII evidentemente aveva imparato bene il ‘modus operandi’ con cui il Duce comprò molti generali e futuri gerarchi del regime). E visto che non volle sottoscrivere un ufficiale atto di fede in cui approvava e si impegnava a difendere “la dottrina sociale e politica della Chiesa” e a non occuparsi mai più di politica e di problemi sociali, il mese dopo – maggio 1953 - l’Osservatore Romano ufficialmente e pubblicamente informò che “Andrea Gaggero è stato ridotto allo stato laicale per grave disobbedienza”.

A dire il vero, il giornale del Vaticano non aveva però riportato le parole complete con cui - nell’ultimo incontro, quand’era ancora “Don Andrea” - aveva risposto alle ultime offerte ricevute, dove di fatto preferiva buttarsi dalla finestra piuttosto che firmare: “…solo quando arrivo in fondo, sfracellato, solo allora potrò essere sicuro di mantenere il mio impegno di essere un ‘asociale’ e un ‘apolitico’ “.

E così dal maggio ’53, don Andrea Gaggero a 37 anni ritornò ad essere solo ‘Andrea’. Senza l’abito talare, come lo era stato fino al maggio di 13 anni prima, quando venne ordinato sacerdote ed iniziò il suo lavoro nella parrocchia di San Filippo Neri, nel quartiere più popolare di Genova, quello intorno al porto. Ma non cambiò nulla nella sostanza per il suo ‘essere’. Perché si è preti anche senza la tunica, anche quando si è vestiti solo da uomini normali. Non è l’abito che fa il monaco e non è che senza quell’abito non si sia più monaci o preti. E non fu un caso che il suo libro di memorie, uscito postumo nel 1991 (da Giunti Editore), si sia chiamato semplicemente ‘Vestìo da omo’. Perché Andrea Gaggero, anche quand’era ‘vestito da uomo’, restava ancora un prete che cercava di portare il Vangelo di Gesù ai bisognosi, agli ultimi, a chi viveva ai margini.

Era con quella missione che sin da bambino aveva scelto la sua strada. E che non fosse facile lo sapeva fin troppo bene: era nato da famiglia povera e operaia, negli anni della Grande Guerra, allevato per lo più dalla nonna contadina. Fu lì che capì il senso della parola ‘solidarietà cristiana’ e del bisogno di mettersi al servizio del prossimo, come insegnava Gesù. L’entrata in seminario già nel 1928, a 12 anni, fu quasi una conseguenza di questo e non solo perché volesse studiare e se restava a casa questo non era economicamente possibile. Da sacerdote avrebbe potuto aiutare e sostenere i più deboli, i più poveri, bisognosi e sofferenti.

E da prete, durante la guerra nella sua Genova, tutti lo cercavano e amavano perché di deboli, poveri, bisognosi e sofferenti la città era piena. Come le altre, del resto. Fu nei primi 3 anni di sacerdozio, che poi coincisero coi primi 3 anni di guerra, che capì come la politica del fascismo - razzista, classista, dedito solo alla guerra, illiberale e liberticida – si scontrasse coi suoi ideali di solidarietà umana, di parità di diritti e doveri fra tutti, di necessità di pace in antitesi alla guerra, senza razze superiori e inferiori. Inevitabile così, dopo l’8 settembre ’43, il suo avvicinarsi all’antifascismo e all’attività partigiana, entrando a far parte del clandestino Comando Regionale Ligure Militare. La sua sagrestia nella parrocchia di San Filippo Neri divenne in fretta una base clandestina, favorito anche dal fatto che l’abito talare gli permetteva di muoversi con più facilità tra la gente di Genova e del suo quartiere, in particolare.

Ma, nonostante la collaborazione e la protezione assidua dei suoi parrocchiani, poteva durare? No, di certo. Una cosa peraltro va detta e ‘don Andrea’ lo saprà solo dopo il suo ritorno da Mauthausen. Durante i 40 giorni di tortura, i fascisti di Genova volendosi farsi ‘grandi’ verso i colleghi nazisti affermarono ripetutamente che avevano colpito al cuore il gruppo dirigente della Resistenza ligure. Inscenarono così un maxi-processo pubblico contro don Andrea e una trentina di altri partigiani o simpatizzanti: grandi accuse, grande minacce, grandi prove di colpevolezza di lesa maestà verso il Duce ed il Fuhrer. La pena di morte e l’immediata fucilazione erano il minimo per tutti. Anche perché non fu dato a nessuno il modo di difendersi. Erano fascisti del resto, che altro? Era la scuola vigliacca del Duce e dell’OVRA di Arturo Bocchini, non dimentichiamolo mai.

Invece a luglio, ecco la sentenza: al massimo vennero condannati a 18 anni di carcere, Andrea compreso. Anni dopo, testimoni diranno che prima della sentenza finale, un gruppo di partigiani genovesi era entrato nelle case dei giudici fascisti lasciando loro un messaggio chiaro: “se condannate a morte il prete e gli altri, noi torniamo e voi e le vostre famiglie farete la stessa medesima fine”. E così avvenne. Erano giudici fascisti del resto, che altro? Era la scuola vigliacca del Duce, quello che al momento del suo giudizio se la filò a gambe verso la Svizzera, pallido e tremante.

E così nel maggio ’53 riprese a fare il prete come lo aveva fatto prima, sia durante che dopo la guerra, sostenendo i più deboli, i più poveri, bisognosi e sofferenti. Ovviamente ‘vestìo da omo’. E giorno per giorno manifestando le sue critiche alla chiesa di Pio XII, quella che nelle elezioni del 1949, quando l’Italia si divise in due blocchi contrapposti (da un lato i comunisti e i socialisti; dall’altro la chiesa cattolica e il partito della Democrazia Cristiana) lanciò la scomunica contro i comunisti, molti dei quali erano stati suoi compagni nella resistenza partigiana o nei lager nazisti. Andrea Gaggero, peraltro, vedeva soprattutto nella D.C. troppe presenze anomale, molte ancora vicine al regime precedente e, nei fatti, ancora troppo lontane dalla sua visione di solidarietà cristiana e uguaglianza sociale. Peraltro le amnistie continue - dalla Togliatti alle successive - non gli davano di certo torto. E per sua fortuna - va detto - morì prima di sapere dell’esistenza ‘dell’armadio della vergogna’ dove, grazie ai nuovi politici, si nascosero e coprirono orribili crimini dei fascisti italiani di quel tempo.

Dopo il ’53, di conseguenza, proseguì la sua azione coi movimenti per la pace, con gli obiettori di coscienza e contro le armi nucleari, sostenendo manifestazioni sia con uomini di sinistra (come Italo Calvino) che di altro orientamento politico come i ‘pacifisti’ gandhiani di Aldo Capitini o gruppi di radicali come Marco Pannella. Fu tra i fondatori nel 1961 della prima 'Marcia della Pace' Perugia-Assisi, tuttora importante ed attuale. Operò in Italia e non solo. Nel 1964 entrò a far parte del comitato esecutivo del neonato “International Confederation for Disarmament and Peace (ICDP)” poi durante la guerra in Indocina parteciperà e diventerà presidente del ‘Comitato per la Pace nel Vietnam’. Importante per il successo di partecipazione, a Roma nel novembre del 1965 - in solidarietà con il movimento per la Pace americano, che aveva attivato una marcia su Washington – fu la sua organizzazione nella ‘Veglia per la Pace’ nel grande cinema Adriano. E ancora una volta, come a Varsavia nel 1949, forti le sue parole contro la guerra nel mondo e contro i guerrafondai che, da che mondo e mondo, vivono sulle guerre. Ad applaudirlo quella sera anche vip del momento, molto coinvolti, quali Gian Maria Volonté e Sergio Endrigo.

E via con altre manifestazioni e altre marce pacifiste, attirando a sé anche altri politici non certo di sola ispirazione comunista o anticlericale, come il grande Giorgio La Pira, con De Gasperi il fondatore della D.C. Lottando sempre pacificamente contro le nuove (Grecia) o vecchie dittature (Portogallo, Spagna) che in quelli anni nascevano o non volevano morire. E non poteva mancare la missione della ‘memoria’ dapprima partecipando ad alcune iniziative negli anni ’70 per migliorare i rapporti tra l’Italia e la Nuova Germania e poi nel lavoro di testimonianza, tramite l’ANED, l’associazione Ex Deportati nei Campi di Sterminio Nazisti, di cui divenne presto il responsabile della sezione di Roma.

Negli ultimi anni di vita – morì il 7 luglio 1988 a Cennina nel comune di Bucine, a 72 anni – si dedicò sempre con grande passione a testimoniare anche ai bambini delle scuole – gli uomini del domani – spiegando loro per bene il significato della parola “pace” e il pericolo delle strade che conducono piano piano alla guerra.

Non sta a me giudicare le scelte della Chiesa di Pio XII, ma da cattolico sono sempre più convinto che - anziché cacciare i mercanti dal tempio - in quegli anni abbia tolto l’abito talare a chi lo meritava, tenendosi stretti i Siri, gli Hudal e lasciando spazio a chi poi le porterà dentro in casa scandali finanziari, morali, sessuali, etici non degni di chi predica e crede nel Vangelo di Gesù. E personalmente il silenzio assordante, con cui, da sempre, la Chiesa nasconde la figura di Andrea Gaggero, lo trovo solo vigliacco e sintomo di colpa. Alzi la mano, a parte gli addetti ai lavori, chi in Italia oggi conosce quel prete “ridotto allo stato laicale per grave disobbedienza”.

Per questo, per quanto fatto e subito, il mio rispetto più che alla politica del Papa di Hitler va senza ombra di dubbio a don Andrea, vero prete anche se solo ‘vestìo da omo’.-

12 aprile 2023 – 107 anni dopo la sua nascita - liberamente tratto anche dal sito a lui dedicato (Andrea Gaggero: ‘Un uomo al servizio della pace’ – 23 maggio 2022) a cui sono iscritto da tempo.

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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