Quale dialogo con chi inneggia al genocidio?
di Sergio Scorza

Quale dialogo può esserci con chi inneggia ad un genocidio?

Non ci sono differenze di opinione, pareri da rispettare, dibattito. Chi sostiene un genocidio è fuori dal genere umano.

Ma c'è anche chi, pur non inneggiando apertamente al genocidio, afferma di considerare "inevitabili" e "legittimi", dopo i fatti del 7 ottobre (ancora non del tutto chiarissimi), il massacro, perpetrato dalle forze militari di occupazione israeliane, di 35.000 civili palestinesi (di cui la metà bambine/i) nonché il bombardamento sistematico di ospedali(con i pazienti dentro), scuole, asili, abitazioni, ambulanze, università, chiese, moschee, strutture di organizzazioni umanitarie, mediante lo sganciamento di 25.000 tonnellate di bombe (superato da un pezzo l'equivalente in megatoni delle due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki) che piovono anche sulle tende degli sfollati come sulle file di migliaia di esseri umani, sfiniti ed affamati, in fila per un tozzo di pane o per un piatto di riso.

E, sempre costoro, si guardano bene dallo spendere anche solo mezza parola per stigmatizzare le deliberate uccisioni, da parte dei cecchini israeliani, di civili in fuga con le mani alzate, di reporter, medici, paramedici, volontari e - soprattutto - bambine e bambini, come ammesso candidamente e senza lasciar trapelare alcun turbamento, gli stessi autori di queste nefandezze, nelle videochiamate che poi vengono "catturate" in rete.

Considero questa ultima specie di sionista - certamente più raffinata e sottile - altrettanto spregevole e dannosa dei sionisti espliciti ed urlanti e, tuttavia, la vedo onnipresente in tutti i principali talk televisivi.

Un esempio per tutti: Paolo Mieli, opinionista del Corsera, solitamente travestito da "storico".

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