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14 marzo 2024
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Anan Yaeesh non sarà estradato in Israele
di Ferny Zillo

La Corte d'appello dell'Aquila ha respinto la richiesta di estradizione di Israele - che intendeva processarlo per terrorismo - per il palestinese Anan Yaeesh, a causa del rischio di trattamenti inumani e degradanti nei confronti del detenuto ma anche per il rischio che egli venga processato due volte per lo stesso reato.

Il riconoscimento del rischio di trattamenti crudeli nei confronti del detenuto se estradato in Israele evidenzia la preoccupazione delle autorità giudiziarie italiane per i diritti umani e la dignità delle persone coinvolte in procedimenti penali. Molte fonti imparziali - ma anche lo stesso giornale israeliano Haaretz - hanno evidenziato che in Israele i detenuti palestinesi sono maltrattati e abusati in vari modi.

Infatti i giudici hanno evidenziato che le condizioni carcerarie in Israele per i palestinesi sono descritte come penose e violente, soprattutto durante conflitti armati, e che Yaeesh è già sotto procedimento penale in Italia per gli stessi fatti contestati da Israele.

Il fatto che Anan Yaeesh sia già oggetto di un procedimento penale in Italia per gli stessi fatti contestati da Israele solleva dubbi sul principio del ne bis in idem - "non due volte per la stessa cosa" in latino - che è un principio fondamentale del diritto penale che impedisce a una persona di essere giudicata più di una volta per lo stesso reato.

La decisione della Corte d'appello dell'Aquila solleva importanti questioni legate ai diritti umani, alla giustizia e al rispetto della dignità umana, sottolineando l'importanza di garantire un trattamento equo e rispettoso per tutti i detenuti coinvolti in procedimenti penali.

Tanti si erano mobilitati nei giorni scorsi, anche appellandosi al ministro Carlo Nordio - perché Yaeesh non venisse estradato in Israele: è stata lanciata una raccolta firme e si sono tenute diverse manifestazioni di sensibilizzazione.

Peraltro i suoi avvocati hanno respinto l'etichetta di terrorista applicata al loro assistito, sottolineando che si tratta di "azioni di difesa del campo profughi dove risiedeva. Azioni paragonabili a quelle dei nostri partigiani”. Anche l'ONU in varie risoluzioni, ha riconosciuto il diritto dei popoli occupati a difendersi in armi.

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