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10 marzo 2024
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Politici nostrani e posizione sulla questione palestinese
di Elisa Fontana

“Il fatto che la lotta dei palestinesi si esprima anche in forme terroristiche, e come tali da respingere e da condannare, non può far dimenticare il dramma di questo popolo senza territorio, senza stato, privato di identità nazionale, e non può far dimenticare le responsabilità di coloro, come i dirigenti dello stato di Israele, che cercano di cancellare questa realtà con i metodi della repressione e della rappresaglia di massa”. Enrico Berlinguer 1982.

Bettino Craxi affermò nel 1985, di non contestare “la legittimità del ricorso alla lotta armata” da parte dell’Olp.

“Ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento, da cinquant’anni fosse lì e non avesse alcuna prospettiva di poter dare ai propri figli un avvenire, sarebbe un terrorista”. Giulio Andreotti, 2006

Queste tre affermazioni fatte da tre leader della politica italiana nel corso degli anni su uno stesso argomento, ci dicono molto più di un trattato sul perché oggi annaspiamo in un agone politico asfittico e dopato. Sì, dopato, perché oggi anche un ranocchio stonato assurge alla dignità di leader politico.

Al netto di quel che si può pensare delle tre affermazioni e dei tre leader, diversissimi fra loro per indole, storia ed idee, provate oggi a fare questa semplice domanda ad uno qualsiasi dei leader odierni che vi vengano in mente. Uno qualsiasi. Avrete in risposta delle fumisterie buone per ogni stagione, cerchiobottiste per quel che basti, attente a non scontentare l'universo mondo che potrebbe trasformarsi in voto alle prossime elezioni.

E non soltanto su questo argomento. Provate su qualsiasi argomento: se ci si candiderà capolista alle prossime europee, chi si preferisce fra Trump o Biden, come ci poniamo con la guerra in Ucraina, se vogliamo la transizione ecologica o l'energia atomica e via continuando. Otterremmo solo balbettamenti confusi, risposte con il bilancino, discorsi ecumenici che possano accontentare quante più persone possibile. E un immancabile occhio agli onnipresenti sondaggi che ormai sono la bussola politica di chiunque.

Capite da soli l'abissale differenza fra i tre leader citati sopra e il resto dell'attuale mondo politico che ci troviamo di fronte. E non perchè sull'argomento potessero avere la stessa idea, ma proprio perchè un'idea ce l'avevano. Avevano una visione, un orizzonte politico, un progetto da portare avanti e lo dichiaravano apertamente, pronti a prendersi gli applausi o a ribattere alle critiche. Pronti a motivare chi li seguiva indicando loro un percorso, uno scopo per cui lottare, un fine più alto del risultato immediato.

C'era ricerca storica, politica, contatti, contezza del ruolo rivestito. Perché se sei il segretario del più grande partito comunista occidentale dovrai pur essere in grado di dare un orizzonte politico non solo ai tuoi iscritti, ma renderlo chiaro anche a chi sta fuori, a chi ti guarda con simpatia o con ostilità.

Hai la responsabilità politica di un partito e quella responsabilità si traduce in parole chiare e nel coraggio di spiegarle e difenderle. Certo, non voglio idealizzare, non tutti erano puri gigli di campo, ma tutti sentivano il dovere di schierarsi, di spiegare, di motivare. Capite il dramma e il deserto politico odierno?

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