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04 marzo 2024
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Riccardo, ucciso in una operazione di contenimento: 10 anni senza giustizia
di Elisa Fontana

La sorte tragica toccata a Riccardo Magherini, come a Stefano Cucchi, a Federico Aldrovandi, a Carlo Giuliani e a tanti altri ragazzi, che semplicemente vivevano.

Riccardo era un fiorentino di 39 anni, senza precedenti penali, ex calciatore, sposato con Angela e padre di un bambino, Brando, che all’epoca della sua morte aveva appena un anno.

Era l’una circa del mattino, fra il 2 e il 3 marzo del 2014: Riccardo Magherini, mentre rientrava da una serata con amici, fu travolto da un attacco di panico in borgo San Frediano, nella sua Firenze.

Quanti fra noi hanno sperimentato il senso di disperante annichilimento, di irrimediabilità, con cui il panico travolge impietoso la 'vitae substantia' di un essere umano!

O quanti ne hanno ascoltato le testimonianze da parenti, amici!

Ricky - come lo chiamavano in molti - si aggira spaventato per le vie: è convinto che qualcuno gli stia dando la caccia e voglia ucciderlo. A gran voce chiede aiuto a chiunque incontri, reclamando l’intervento delle forze dell’ordine. Probabilmente, sentendosi braccato, pensa che la polizia o i carabinieri possano salvarlo, possano riportarlo a casa, al sicuro dalla sua famiglia.

Così, qualcuno chiama il 113: la sua condanna a morte. Arrivano i carabinieri: il giovane uomo si trova seduto su un marciapiede in lacrime e spaventatissimo.

I carabinieri immobilizzano Riccardo e lo ammanettano, tenendolo a terra in posizione prona. Ci sono testimoni e alcuni video, in cui si sente Riccardo che grida “aiuto”, “mi sparano”, “aiuto aiuto, sto morendo”. Qualcuno grida “No, i calci no!”. Fatto sta che in quella, che i carabinieri hanno definito “operazione di contenimento”, Riccardo perde la vita.

Quando arrivano i sanitari del 118 due agenti gli sono ancora sopra.

«Raccontate la mia storia», riuscì a dire Riccardo, mentre ormai rantolava: e chiuse gli occhi per l’eternità, ad appena 39 anni. L’autopsia stabilirà che le cause della morte sono state la disfunzione cardiaca dovuta allo stress causato dalla situazione vissuta e l’asfissia.

«Abbiamo suonato a tutte le abitazioni con la finestra sulla strada, in cui è successo il fatto, e ogni testimone di quella notte ci ha fornito la stessa versione: un uomo che chiede aiuto e invece di essere soccorso è massacrato di botte e ucciso per asfissia per colpa di un agente che con un ginocchio sul petto gli causa un’occlusione fatale», ricorda Andrea Magherini, fratellio di Riccardo.

I tre carabinieri della pattuglia, condannati in primo grado e in appello, sono stati poi prosciolti dalla Cassazione, perché “il fatto non costituisce reato”.

Comprensibilmente – e giustamente – i familiari di Riccardo hanno presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'uomo di Strasburgo, patrocinati da Fabio Anselmo, il pregevole avvocato, che ha difeso anche la famiglia Cucchi. La Corte ha accolto il ricorso, chiedendo ufficialmente spiegazioni al nostro Governo in merito a quanto avvenne quella notte. Le domande al momento senza risposta sono diverse. Senza risposta da allora, dai Presidenti del Consiglio succedutisi.

Innanzitutto, il Governo deve chiarire se l’uso della forza degli agenti sia stata «assolutamente necessario e proporzionato al contenimento della persona fermata» e se l’Italia sia dotata di «misure legislative, amministrative e regolamentari, che definiscono le limitate circostanze in cui le forze di polizia possano far uso della forza».

Inoltre, la Corte vuole sapere anche se agli agenti fosse stata fornita una formazione adeguata, in grado di evitare abusi e garantire la tutela della condizione di vulnerabilità del soggetto. Richiesta legittima, considerato che tanti, troppi, sono i ragazzi morti per mano di agenti spesso poco o mal formati.

Osserva, infatti, Andrea: «Se l’approccio delle forze dell’ordine è militare e repressivo in ogni situazione, è chiaro che qualcosa non vada nel sistema, soprattutto se la persona fermata non ha commesso reati ma chiede semplicemente aiuto. La difesa del diritto alla vita è sacro e quando si finisce nelle mani di membri dello Stato ci si aspetta di essere tutelati. Servono regole certe, percorsi di formazione anche di primo soccorso e protocolli ai quali gli agenti debbano attenersi, senza essere liberi di comportarsi come meglio credono. Spero che il nostro caso serva a fare in modo che ciò avvenga il prima possibile».

E conclude: «Il cammino non si è ancora concluso, ma indubbiamente oggi siamo soddisfatti e se alla fine lo Stato ammetterà che qualcosa non è andato come doveva in quel borgo fiorentino, giustizia non sarà stata fatta solo per Riccardo, ma anche per tutte le persone che verranno fermate in futuro in circostanze analoghe».

Attendiamo ancora, dunque, le risposte del Governo italiano ai rilievi della Corte...

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