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22 febbraio 2024
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La cintura nera di Lubiana
di Rinaldo Battaglia *

Nelle terre annesse o occupate della Slovenia e Dalmazia, il 1 marzo 1942 entrò in vigore, firmata dal gen. Mario Roatta per ordine del Duce, la famigerata Circolare 3 C. Era una vera e propria ‘sacra Bibbia’ oltrechè fonte eterna di ispirazione e stella polare nella nostra strategia del post-invasione, dopo il fatidico 6 aprile ’41.

Vari storici la hanno semplicemente definita come la ‘dichiarazione di guerra dell’Italia fascista alla popolazione civile slava’. E, analizzandola, difficile se non impossibile non condividere. La Circolare pretendeva che i nostri soldati rendessero “inabitabile la zona per i ribelli e inutilizzabili tutte le sue risorse”, e quindi ordinava, dopo la ovvia ‘confisca’ dei beni dei civili slavi, anche l’inevitabile distruzione, col fuoco, di tutte le loro case dopo averle saccheggiate totalmente. Tutte le case, di tutte le famiglie slave «prescindendo dalla loro colpevolezza». Questo era il fascismo di Mussolini nelle terre, da noi invase ed aggredite. (...)

Le parole contano ancora e sempre. Con la Circolare 3 C il Duce e il gen. Roatta garantivano inoltre la totale immunità ex-post ai propri subalterni. In altre parole, se qualcuno avesse commesso ‘eccessi’- parole dello stesso Roatta – sarebbe stato ‘esaminato’ caso per caso: ‘non intendo fare il processo al passato e non ho neppure l’intenzione di legare le mani ai comandati”. In altre parole: carta bianca.

Alle stesse conclusioni, in Italia, sarebbe arrivato – sempre dopo anche qui - l’uomo forte di Hitler, il feldmaresciallo Kesselring il 17 giugno 1944. In una sua circolare – clonando o copiando la nostra 3C - Kesselring stesso ‘garantiva l’impunità ai comandanti impegnati nella repressione delle bande (partigiane) per eccessi eventualmente commessi sulla popolazione civile’. I massacri nel centro-nord Italia dell’estate ‘44 trovarono lì la loro origine naturale, la loro ‘matrice’, usando una parola ora di moda. (...)

Ma il vero punto focale dell’azione della Circolare 3 C restava la città di Lubiana. E la storia di Lubiana (e della sua ‘cintura’) - non a caso - non è per nulla conosciuta dall’opinione pubblica del nostro paese e tanto meno il tasso di ferocia e crudeltà manifestato dai nostri soldati, da far invidia per davvero a qualsiasi ‘gestione’ nazista.

Se per noi la strage di Podhum del 12 luglio 1942 non esiste, la ‘cintura’ di Lubiana resta ancora oggi - a noi italiani - meno nota della modalità con cui un fissile di uranio o plutonio provoca la reazione a catena della bomba atomica.

Chi ne ha mai parlato? Film, libri, sevizi e documentari storici? Nulla. Meglio non sapere, ci conviene. Elettoralmente non produrrebbe effetti positivi. Qualche scellerato poi potrebbe collegare il crimine della ‘cintura’ con quello successivo delle foibe, dove tra i ‘carnefici’ molti, fino a pochi mesi prima, erano ‘vittime’ a Lubiana. Qualche scellerato potrebbe anche informarsi, documentarsi, capire e allora….il vantaggio competitivo della parola ‘foibe’ svanirebbe.

Del resto se ‘la libertà inizia dove l’ignoranza finisce’ - come scriveva Victor Hugo – limitare le conoscenze storiche è un buon cavallo di battaglia per chi detiene il potere. Oggi come ieri. Ma cos’è stata la ‘cintura di Lubiana’?

In estrema sintesi: il più grande ed esteso campo di concentramento mai esistito al mondo. In attesa che fosse promulgata la Circolare 3 C, nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 1942, per ordine del gen. Roatta e soprattutto del gen. Robotti, l’intera città venne completamente recintata da barriere di alti reticolati e filo spinato per una lunghezza di ben 41 chilometri.

Furono istituiti 60 posti di blocco sempre sorvegliati e con mitragliatrici costantemente cariche, ed installate postazioni di fotoelettriche e un sistema di illuminazione all’avanguardia, per controllare sulla ‘cintura’ tutto, a luce del giorno, anche col buio. Il ‘muro di Berlino’ 20 anni prima del muro di Berlino.

Nessuno poteva più uscire o entrare e, dal giorno successivo, tutta la popolazione civile venne segretata, controllata, rastrellata. Lubiana venne divisa in 14 ‘settori’ e gruppi di soldati ogni giorno perquisivano – ognuno per il proprio settore - tutti i residenti. Tutti. E ovviamente tutte le case, cantine, magazzini, negozi, depositi. Fogne comprese.

Il compito venne destinato in particolare ai Granatieri di Sardegna - comandati sul campo dal fidato gen. Taddeo Orlando - con l’ausilio dei carabinieri, poliziotti, finanzieri, le immancabili camicie nere e altri corpi dell’esercito.

Chiunque poteva esser fermato, arrestato, perquisito, interrogato o torturato. Tutti potenzialmente erano ‘ribelli’ ‘a prescindere dalla loro colpevolezza’, come amava ripetere lo stesso gen. Orlando, che era di casa allora proprio a Lubiana. Non c’era uomo, soprattutto dai 18 ai 35 anni, che non sia stato arrestato e portato nella Caserma Vittorio Emanuele III, talvolta anche su delazione di ‘informatori’ slavi, più o meno pagati, più o meno ricattati o ricattabili.

La Storia indica che solo nei primi 20 giorni (fino al 14 marzo’42) almeno 20.037 persone vennero arrestate, di cui 936 incarcerate e condannate. Di queste, 3 subito uccise e altre 878 deportate nel campo di concentramento di Gonars, verso Udine. Cioè a morire di fame a piccole dosi. Sarà il primo rastrellamento.

All’interno della ‘cintura’ venne subito costruito una secondo anello di filo spinato, lungo questo 18 chilometri e, all’interno di questo ulteriore ‘ghetto’, praticate fino all’8 settembre 1943 – ossia in 18 mesi – altri 3 rastrellamenti totali. Il secondo avvenne dal 26 al 30 aprile’42 con almeno 17.000 civili fermati e 108 poi arrestati.

Il risultato non fu giudicato ugualmente soddisfacente dal gen. Roatta: la città venne così ri-suddivisa in soli 5 settori e dal 24 giugno al 1 luglio ‘42 – nel momento ‘clou’ del terrore fascista, in ogni territorio invaso ed annesso – vennero perquisiti tutti gli operai, tutti i profughi scappati dalle campagne e rifugiatisi in precedenza in città, tutti gli ex-militari sotto i 65 anni, soprattutto gli studenti universitari, più pericolosi per la loro cultura, quella che al fascismo faceva da sempre paura. E non solo nei territori annessi.

Del resto se uno come Miguel de Unamuno scrisse, a suo tempo, che ‘ciò che il fascismo odia sopra ogni altra cosa è l’intelligenza’ da qualche parte deve aver pure avuto l’ispirazione, soprattutto considerando che il ‘franchismo’ della sua Spagna nasceva – 15 anni dopo - concettualmente dal fascismo della nostra Italia.

Ma vennero arrestate anche molte donne, vecchi e molti, moltissimi bambini.

In questo terzo rastrellamento, si parla di 20.435 persone controllate e ben 2.858 deportate. In quel momento, oltre a Gonars, almeno altri 200 campi di concentramento di Mussolini erano operativi: mancava ancora - per qualche settimana - solo Arbe/Rab, ma gli altri ricevevano ‘camion’ di deportati ogni giorno. Quasi tutti mandati peraltro in Italia, per rompere i legami coi potenziali ‘nemici’ partigiani, e moltissimi destinati a morire di fame, stenti o malattie. Tifo e dissenteria in particolare. Ma, questi, erano solo ‘inconvenienti igienici’ stando alle parole del gen. Robotti e al silenzio assordante di tutti gli altri. Eravamo, davvero, nel punto focale della strategia fascista della ‘snazionalizzazione’.

In quei mesi - lo scriverà nel suo diario il 25 settembre 1942 il cappellano militare del 2° Reg.to dei Granatieri di Sardegna, don Pietro Brignoli - ‘dicono che donne e bambini e vecchi, a frotte, o rinvenuti nei boschi o presentatisi spontaneamente alle nostre linee costretti alla fame e dal maltempo, sono intruppati, e avviati (tra pianti e pianti e pianti) ai campi di concentramento”.

Era un’altra vittoria della strategia fascista: quella degli incendi sistematici delle case e delle stalle e soprattutto nel rendere le terre dei contadini ‘bruciate’ e non più produttive. Tra i pianti, pianti e ancora pianti della ‘razza inferiore’.

La strategia ‘della fame’ del Duce e del suo ‘uomo’ sul campo, il gen. Roatta. Non è che il suo soprannome (‘la bestia’) di questo sia nato per caso. Analogamente a ‘palikuci’ (bruciacase) dato agli italiani. Palikuci: qualcuno di noi lo ha mai saputo? Sarà lo stesso gen. Roatta, nell’immediato dopoguerra a ribadirlo nel suo diario di guerra e sempre col forte suo spirito fascista già nel titolo: ‘Otto milioni di baionette’. (...)

Il quarto ed ultimo rastrellamento sarà invece gestito dal successore di Roatta e Robotti, il gen. Gastone Gambara – il matematico dell’equazione ‘deportato affamato= deportato tranquillo’ - nei giorni precedenti al Natale 1942 con 567 persone mandate tra Gonars, Renicci, Fellette di Alatri e altri minori. Anche in Alto Adige, a Colle Isarco.

Qui, Gambara fece ricorso soprattutto alle fidate camicie nere della Milizia Volontaria Anti-comunista (MVAC), quelle cresciute nella scuola del fascio, dove ogni ‘non fascista’ era per definizione un ‘comunista’. Anche i bambini di pochi mesi, per la solita legge del ‘prescindendo dalla loro colpevolezza’. Lo sarebbero potuti diventare, appena cresciuti. E molti - allora più grandicelli - lo diverranno, per davvero, poco dopo con Tito, appena fisicamente in grado di farlo. Quasi per pura reazione chimica, quasi per la solita legge di ‘causa-effetto’.

“Nello scorso anno (il 1942) le autorità militari con apprezzato senso di opportunità avevano rastrellato la città, ordinando l’internamento di tutti gli uomini dai 18 ai 35." Così scriverà in un documento ufficiale, inoltrato il 26 aprile 1943 dal ten. col. Enrico Macis al questore Ettore Messana, altro componente del Tribunale Speciale di guerra di Lubiana, nel fare un primo bilancio della Circolare 3 C, magari con personale vanto.

E decisamente c’erano buoni motivi per vantarsi: ‘solo’ il ‘Tribunale Speciale di guerra’ di Lubiana dal novembre 1941 all’8 settembre 1943 ‘giudicò’ almeno 8.000 cittadini slavi, sentenziandone la morte di 86, quasi in toto civili, 412 ergastoli e oltre 3.000 condanne di poco inferiori ai 30 anni. Facevano parte del Tribunale anche i ‘soliti noti’: l’ispettore capo di pubblica sicurezza Giuseppe Gueli, dal vice Gaetano Collotti, coadiuvati dal coordinatore del locale ufficio dell’OVRA, Ciro Verdiani. Non secondari anche i ruoli del commissario Sigfrido Mazzucato e dei funzionari della MVAC Luigi Maraspin e Vincenzo Chiarenza, presente questo anche a Podhum, nella squadra del magg. Morleo in quella domenica senza Messa e successivamente sempre più ’culo e camicia’ con le S.S. nella ricerca di ebrei da spedire a San Sabba o Auschwitz.

A guerra finita la War Crimes Commission addebiterà a Macis, Messana, Gueli e Verdiani la fabbricazione metodica di ‘false prove a carico degli imputati, in molti ‘finti’ processi’. Fu provato – talvolta è doveroso evidenziarlo affinché mai vengano sottovalutati o dimenticati questi ‘particolari’ da ‘veri gerarchi delle S.S.’ - che i prigionieri negli interrogatori venivano sistematicamente torturati e bastonati, colpendoli al basso ventre, talvolta infliggendo bruciature o esponendo i testicoli alla corrente elettrica se uomini, e per le donne stupri, in serie ripetuti, nel modo più sadico e barbaro possibile. Da uomini delle caverne. Repetita juvant.

Furono tutti inseriti nell’elenco dei criminali di guerra della War Crimes Commission, senza, poi, da noi nessun esito, come da prassi consolidata. E’ il nostro marchio di fabbrica.

Non solo. Per la nota legge che – come scriverà anni dopo Roberto Vecchioni - ‘i delinquenti di ieri saranno i dirigenti di domani’, nel 1946 Enrico Macis avrà molteplici incarichi di consulenza per conto dell’Esercito, molto probabilmente in chiave anti-Mosca (forse Gladio?). Nel 1946, ossia a guerra finita. Ettore Messana, tra i fascisti più fedeli di Mussolini ancora prima della marcia su Roma, sarà addirittura nominato Ispettore Capo Generale della Pubblica Sicurezza in Sicilia nell’immediato dopoguerra, al tempo soprattutto del Governo di Ivanoe Bonomi ma anche in quello di Alcide De Gasperi.

Sarà lui a gestire i rapporti con la banda di Salvatore Giuliano e quella di Fra' Diavolo. Sarà lui parte più o meno attiva, negli anni 1946/1947, delle stragi contro i contadini e a favore dei latifondisti, come quella ‘dimenticata di libri di storia’ di Portella della Ginestra o degli assalti alle Camere del lavoro.

Si parlò genericamente anche di ben 27 sindacalisti ed oppositori politici al governo nazionale o regionale ‘uccisi’ o ‘scomparsi’, si parlò pure di forti sospetti o legami con esponenti mafiosi locali. Ma - lo si sa bene - anche su questi temi in Italia il silenzio è d’obbligo, come per il ‘caso’ Podhum, come per la ’cintura di Lubiana’.

Ieri, oggi e domani. Nessuno deve conoscere, così nessuno mai si interesserà. Quando andrà in pensione, il 30 ottobre ‘53, a 65 anni, Ettore Messana sarà personalmente premiato dal ministro Mario Scelba con l’onorificienza di ‘Grande Ufficiale dell’Ordine al merito’ per i servigi resi al nostro Paese. Nessuno ha ma spiegato se anche gli anni di ‘morte’ di Lubiana, e poi col medesimo incarico a Trieste, fossero compresi in quei ‘premiati servigi’ resici. (...)

Secondo lo storico sloveno (molto quotato nel settore, per la sua competenza ed altrettanta oggettività) ed ex-partigiano, Tone Ferenc, durante il periodo della ‘cintura’ nella ‘sola’ provincia di Lubiana, vennero “fucilati come ostaggi o durante operazioni di rastrellamento circa 5.000 civili, ai quali vanno aggiunti i circa 200 bruciati e massacrati in modi diversi. 900 invece i partigiani catturati e fucilati. A loro si devono aggiungere oltre 7.000 persone in gran parte anziani, donne e bambini morti nei campi di concentramento in Italia. Complessivamente moriranno più di 13.000 persone su 340.000 abitanti, il 2,6 per cento della popolazione”. (...)

Sappiamo anche che più storici, del nostro stesso paese, hanno poi pure quantificato in quasi 110.000 gli jugoslavi che vennero deportati nei ‘nostri’ campi di concentramento, in Italia o in quei territori ora stranieri ma, allora, occupati dall’Italia fascista. Qualcuno, come ancora Giovanni Giovanetti, con più precisione arrivò a 109.437.

Che dire? Qualcuno ne sa qualcosa? Qualcuno ne ha mai parlato?

Chi nel mio Veneto, pretende oggi una legge che sancisca come reato il quantificare gli infoibati in meno di 12.000 (vedasi la mozione n. 29 approvata dal Consiglio Regionale il 23 febbraio 2021) ha tenuto conto anche di questa realtà? Non è che un crimine escluda l’altro, anzi, ma se ne è tento conto?

Il dolore degli altri vale o no? Oppure vale davvero meno, essendo di ‘razza inferiore’ anche dopo 80 anni? (...) 22 febbraio 2024 - 82 anni dopo - liberamente tratto dal mio 'A Podhum io scrivevo sui muri - ed. Ventus/AliRibelli - 2022

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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