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Canada: contestatori pro-Gaza in parlamento e causa dal Nicaragua
di
Aurora Gatti
Durante il periodo delle interrogazioni di mercoledì alla Camera dei Comuni canadese (HoC), un gruppo di manifestanti ha interrotto i lavori scandendo slogan a sostegno della Palestina.
"Palestina libera, libera", ha gridato il gruppo di manifestanti dalle tribune del secondo piano mentre era presente il primo ministro Justin Trudeau.
L'interruzione ha portato il presidente della seduta a silenziare i microfoni dei parlamentari e, infine, a sospendere la sessione del parlamento per due minuti per consentire che "le cose si calmassero".
Quando a dicembre il Sudafrica presentò accuse di genocidio contro “Israele” alla Corte internazionale di giustizia (ICJ), il primo ministro Justin Trudeau dichiarò che se la corte si fosse pronunciata a favore del Sudafrica, il suo governo avrebbe sostenuto gli sforzi e i procedimenti approfonditi della corte. Tuttavia, ha sottolineato, "il nostro pieno sostegno alla Corte internazionale di giustizia e ai suoi processi non implica che approviamo la premessa del caso portato avanti dal Sud Africa".
All’inizio di questo mese, il governo del Nicaragua ha annunciato di aver avviato un procedimento per portare Germania, Regno Unito, Paesi Bassi e Canada davanti alla Corte Internazionale di Giustizia per la loro complicità nel genocidio di Gaza.
Il Nicaragua ha pubblicato un comunicato ufficiale in cui rivela di aver messo in guardia i governi delle suddette potenze occidentali che potrebbero essere congiuntamente complici delle "violazioni flagranti e sistemiche" della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio e delle norme internazionali diritto umanitario nella Striscia di Gaza.
Nella sua nota, il Nicaragua ha esortato i quattro stati a cessare immediatamente la fornitura di armi, munizioni e tecnologie a "Israele" perché potrebbe usarle per facilitare o commettere violazioni della Convenzione sul genocidio a Gaza.
Il memorandum sottolinea che i paesi che sostengono Israele sono obbligati a interrompere le forniture "dal momento in cui lo Stato si rende conto dell'esistenza di un serio rischio di commettere un genocidio".
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