 |
Intervista a Ghali censurata?
di
Paolo Mossetti
Anche Repubblica arriva a censurare Ghali. Molto grave e deprimente questo episodio riportato per primo da «Il Fatto Quotidiano» e ripreso da «Open» di Mentana: nei giorni del Festival di Sanremo, l'artista ha rilasciato un’intervista a un giornalista del quotidiano di Largo Fochetti, l’articolo era stato impaginato e sarebbe dovuto uscire nell’edizione cartacea di domenica scorsa. Poco prima di andare in stampa, però, la direzione di Repubblica si è opposta e ha deciso di non pubblicarla. Il motivo lo immaginiamo tutti.
Nei giorni successivi, a Ghali è stato chiesto di aggiungere un commento sull'eccidio del 7 ottobre. La richiesta sarebbe stata rispedita al mittente, che ha fatto saltare definitivamente l’intervista. L’entourage del rapper, contattato dal Fatto, ha confermato questa ricostruzione.
Fonti interne a Repubblica mi hanno subito scritto per dirmi che la storia è «naturalmente» vera, ma ci ha pensato stesso il direttore di Repubblica a fugare ogni dubbio: scegliendo una pezza peggiore del buco, qualche ora dopo lo scoop del giornale avversario Repubblica ha pubblicato (online, non sul cartaceo come originariamente previsto) l'intervista a Ghali. Lo ha fatto con una nota che, pur volendo smentire l'avvenuta censura, di fatto la certifica, spiegando che a Ghali era stata richiesto un commento aggiuntivo sul 7 ottobre (vedi immagine nei commenti).
Nella fretta, Repubblica cita persino, come esempio di benevolenza nei confronti del cantante, una copertina a lui dedicata sul Venerdì. Peccato che la cover risalga al 2 febbraio. Cioè prima di Sanremo e prima che Ghali fosse sottoposto agli attacchi delle destre.
Un capitombolo «ridicolo», «una buffonata di livelli epici», commentano fonti interne a Repubblica che chiedono di non essere nominate.
E se molti in questo momento si stanno indignando con Repubblica per la storia di Ghali, l'episodio politicamente e culturalmente più grave è un altro, passato inosservato: questa lettera che usa così disonestamente, così impunemente, così violentemente la parola «antisemitismo» contro lo stesso cantante censurato, scelta e pubblicata da Repubblica come se niente fosse, con questa risposta di Francesco Merlo (immagine nei commenti).
Questo è anche un episodio interessante su come alcuni tratti «autoritari» che vengono attribuiti alla sinistra woke si ripetano anche nel centrismo dei liberali, e non solo nelle destre: pretendere formulette retoriche, dichiarazioni di sostegno e mea culpa «performativi» agli intellettuali prima di lasciarli liberi di esprimersi. Il tribalismo ideologico prevale su qualsiasi principio o ideale.
Una storia che spiegherebbe anche la ritrosia a esporsi di molti intellettuali progressisti: per paura di vedersi recensioni a libri in uscita, collaborazioni e opportunità lavorative cancellate, da un giorno all'altro, con le scuse più ridicole.
PS: Com'era immaginabile, il grave episodio dell'intervista bloccata a Ghali non poteva non avere conseguenze.
Una fonte interna di Repubblica mi ha appena inoltrato questo comunicato, che il Cdr del quotidiano ha inviato stamane al direttore per contestarne la decisione.
Interpretando il comune sentire largamente diffuso tra le colleghe e i colleghi di Repubblica, non
possiamo che contestare la mancata pubblicazione dell'intervista a Ghali, fermata dal direttore
quando era già in pagina.
Non neghiamo il fatto che il direttore possa intervenire e decidere che vada aggiunta una domanda.
Le domande si fanno tutte, soprattutto le più scomode. Ma diritto e dovere del giornalista è
riportare le cose come stanno. I nostri interlocutori hanno il dovere di rispondere, ma anche il diritto
di non prendere una posizione se lo ritengono, assumendosene le responsabilità. Ma quello che non
si può fare è non pubblicare un'intervista (dove tra l'altro si parlava di pace) perché non ci piace il
suo contenuto, buttando il lavoro delle colleghe e dei colleghi e umiliandone la professionalità.
Fatto che diventa ancora più grave nel momento in cui Repubblica racconta — e prende giustamente
posizione — il comportamento dei vertici Rai parlando di “censura e Festival vigilato”. Viene meno
non solo la coerenza, ma emerge un atteggiamento da “misura per misura” che mina la credibilità
della testata e mette in grave difficoltà il lavoro delle colleghe e dei colleghi che si stanno
prodigando, non solo sui teatri dei (troppi) conflitti internazionali, per tenere alto il significato più
alto del nostro lavoro: informare senza rispondere a nessuno e a nient'altro se non a una onesta
ricerca della verità dei fatti.
Purtroppo non è la prima volta che siamo costretti a intervenire su casi di questo tipo. Repubblica è
di chi la fa, è un prodotto collettivo come ogni giornale ma un po’ più di tutti gli altri, non uno
strumento che risponde alle sensibilità di un'unica persona.
Il Cdr
VAI A TUTTE LE NOTIZIE SU GAZA
 
Dossier diritti
|
|