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USA attaccano in Medio Oriente: la nostra stampa atlantista gioisce
di
Francesco Dall'Aglio
"Ed è solo l'inizio", scrive un eccitatissimo Di Feo al quale non par vera la prospettiva di vincerne finalmente una, dopo che in Ucraina le cose vanno come vanno e a Gaza Hamas sta sempre là. "La notte più lunga", "rappresaglia senza precedenti nella storia recente", "una pioggia di 125 ordigni" e 85 bersagli colpiti in Siria e Iraq.
Peccato che dopo una settimana di annunci si è avuto tutto il tempo di spostare truppe ed equipaggiamenti, e peccato anche che, come al solito, non siano state colpite le basi dei vari califfati islamici - storia vecchia, del resto perché colpirli quando non hanno mai attaccato Israele (chissà come mai. Mah).
Nella gara di sdilinquimento repubblicano, però, Di Feo è stato clamorosamente sorpassato dal collega Mastrolilli, nuovo idolo atlantista. L'attacco, ci spiega, è "una conferma della potenza della reazione ordinata dal presidente Biden" che fa capire la "determinazione di Washington a fermare gli interventi degli ayatollah per allargare la guerra in corso a Gaza a tutto il Medio Oriente e oltre".
Dettaglio commovente sulle tre vittime statunitensi, citate per nome, cognome ed età, poi il colpo da maestro: che i B-1 siano partiti dalla base texana di Dyess non è dovuto al fatto che gli USA non hanno una sola base logistica sicura nell'intero Medio Oriente o uno straccio d'alleato disposto a rischiare una rappresaglia lasciandogli usare le proprie, o che le loro portaerei non sono adatte a questo tipo di azioni.
Per niente! È "una dimostrazione del fatto che gli Usa possono colpire ovunque nel mondo, quando vogliono, e quindi anche in Iran". Ed è certamente vero: però, appunto, si sono guardati bene dal colpirlo, l'Iran, per quel minimo esame di realtà di cui parlavamo ieri e che a Washington qualcuno deve avere evidentemente fatto.
Intanto la Siria non l'ha presa bene, ovviamente, e non l'ha presa bene l'Iraq, nonostante sia stato cortesemente avverto che il suo territorio sarebbe stato bombardato. L'ingratitudine irachena si è sostanziata nella convocazione dell'incaricato d'affari statunitense al Ministero degli Affari Esteri a Baghdad, al quale è stata consegnata una nota di protesta, e in un appello del Parlamento iracheno che chiede, ancora una volta, il ritiro delle truppe straniere dal Paese.
Non è il primo appello ma le truppe straniere continuano a restare al loro posto nonostante la volontà del Parlamento, quindi del popolo iracheno al quale gli stessi USA hanno insegnato, con la necessaria severità, che la sua volontà è sovrana. Entro certi limiti, evidentemente.
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