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Giornalisti seri, giornalisti coraggiosi, invasati e servi
di
Rossella Ahmad
Centinaia di giornalisti e fotoreporters italiani si sono già uniti all'appello internazionale di Reporters sans frontieres lo scorso novembre ed hanno firmato la lettera aperta di condanna degli assassinii deliberati dei cronisti arabi e palestinesi da parte di Israele, chiedendo una copertura mediatica corretta della pulizia etnica e del genocidio in corso.
Tra di essi ovviamente non vi sono i cialtroni che sentite ogni sera alla TV. Apologeti di un genocidio: esseri moralmente inferiori, dal peso specifico di una piuma.
I numeri della carneficina in corso sono da film dell'orrore. Orrifiche ed inaccettabili le modalità del massacro. Ed il nocciolo della narrazione sempre accuratamente occultato: i massacrati sono nella loro terra. I massacratori vengono dall'estero. Una verità incontrovertibile, nonostante i giochi di prestigio dialettici di questi criminali.
Hanno occultato delitti assoluti. Sono responsabili al pari della cricca leader mondiale di omicidi di bambini e ne condivideranno lo stesso peso di fronte al giudizio dei popoli, una volta che il mondo sarà tornato in asse.
La figura che li rappresenta meglio attualmente, anche dal punto di vista fisionomico, è una invasata britannica, che aggredisce, inveisce contro e zittisce con maleducazione un suo ospite, il medico palestinese Mustafa Barghuti, uomo mite e paziente.
Un altro pessimo esempio di isteria spacciata per giornalismo, da cui tutti i colleghi, indipendentemente da come la pensassero, si sono immediatamente dissociati. Sono due mondi a confronto, ed il confronto è impietoso.
Chiunque ne veda le immagini resterà stupito ed annichilito dalla dignità di chi è nel giusto contro l'arroganza e l'isteria di un giornalismo ormai ridotto a brandelli, che fatica a costruire una narrativa e che ricorre al facile insulto, dal retrogusto coloniale e paternalistico, per tacitare e/o mortificare.
Qualcosa che resterà negli annali quale esempio di amoralità ed assenza di principii nello svolgimento della professione giornalistica, il primo dei quali è la neutralità di chi si serva di un mezzo pubblico.
Per inciso: nel mondo arabo ed in Palestina vi sono centinaia di giornaliste, brave, capaci e che si presentano dozzine di volte meglio della signora in questione.
Agli antipodi, i giornalisti che sfidano la morte tutti i giorni per testimoniare e ridare onore ad una professione in crollo libero in quanto a credibilità e deontologia.
E come figura rappresentativa di questo giornalismo degno ed utile non posso che mettere Wael Dahduh. Il destino inflittogli dall'occupazione è atroce: tutti i membri della sua famiglia sono stati uccisi uno ad uno, in uno stillicidio culminato con l'assassinio dell'unico figlio rimastogli, giornalista a sua volta. Le sue parole sono il compendio della resilienza e della resistenza e dell'orgoglio palestinesi.
Resteremo e continueremo. Accettiamo il nostro destino e trasformeremo i lutti, le privazioni e l'enorme dolore che ci viene inflitto in determinazione a perseverare nella riconquista della nostra terra.
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