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Sumud: la resistenza pacifica dei palestinesi
di
Rossella Ahmad
Sono stata interpellata sulla possibile transizione della lotta palestinese da una fase attiva (la guerriglia anti-coloniale) ad una fase "passiva" (la non violenza di Gandhi, ad esempio).
In realtà non c'è bisogno che avvenga questa fase, perché la vita dei palestinesi all'interno della Palestina occupata è da sempre improntata alla non violenza. È il sumud, un'attitudine unica che il popolo palestinese ha sviluppato, affinato e reso inscalfibile nel corso di decenni di colonizzazione violenta, spietata e genocida.
Il sumud è la perseveranza paziente all'interno della propria terra violata. È l'attaccamento al simbolismo più sacro, rappresentato dagli alberi di olivo, alle cui fronde i contadini si aggrappano persino mentre i bulldozer dell'occupazione li sradicano, essendo quello sradicamento materiale il segno più evidente dello sradicamento spirituale, che l'occupante tenta inutilmente di perseguire.
È la risolutezza a restare fermi, con pazienza: non ce ne andremo, nonostante facciate di tutto per rendere la nostra vita invivibile. Resisteremo perché la connessione con la terra è inestinguibile. Resteremo per sempre qui e berremo questo calice amaro che la storia ci ha inflitto senza spostarci di un millimetro. È l'immagine della Palestina che viene fuori dai dipinti di Sliman Mansour, ad esempio.
Il sumud non è accettazione passiva: al contrario, è resistenza attiva anch'essa, al pari della lotta di liberazione, perché rappresenta una sfida. La sfida di chi resiste e, con la sua resistenza, rende mostruosa l'immagine dell'oppressore. Boicottare è sumud, piantare alberi, impedire la giudaizzazione di Gerusalemme, mettere al primo posto dei valori nazionali l'istruzione, persino fare figli è sumud. Significa porre una spina nel fianco dell'oppressore.
Raja Shehada, avvocato di Ramallah, è stata una delle figure simbolo di questo valore culturale. Così come l'editore gerusalemita Hanna Siniora. Mentre i militari d'occupazione entravano in casa per arrestarlo in quanto palestinese e quindi sottoposto ad innumerevoli detenzioni amministrative senza nessun capo d'accusa, lui preparava il caffè, ne offriva ai suoi torturatori e poi li seguiva, confondendoli.
"Tu, samudin, hai scelto di restare in questa prigione perché è la tua casa e perché sai che, se dovessi lasciarla, il tuo carceriere non ti concederà più di tornare. Vivere in questo modo ti pone dinanzi due tentazioni: o soccombere alla cieca disperazione a cui il tuo carceriere vuole consegnarti o farti consumare dall'odio per lui e per te stesso, il prigioniero".
E ancora: "A volte, mentre cammino tra le colline, e godo del tocco della dura terra sotto i miei piedi, mentre respiro l'odore del timo e degli alberi, mi ritrovo a guardare un olivo, ed ecco che esso si trasforma dinanzi ai miei occhi nel simbolo del sumud, della perdita e della lotta. E in quello stesso momento, io sono deprivato dell'albero, e tutto attorno a me diviene rabbia e dolore".
Oggi Gaza è sumud nella sua interezza. Ed è anche resistenza armata, in un contesto che mira non solo alla colonizzazione, ma alla sostituzione etnica ed all'evaporazione di un intero popolo.
"Abbiamo coltivato la terra
E piantato il grano
Raccolto i limoni
E premuto le olive
Tutto il mondo conosce la nostra terra
Viva, viva Palestina
Viva Palestina e cade il sionismo".
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