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Terrasanta: convivenza fra religioni e nessun fanatismo
di
Rossella Ahmad
Faccio anch'io un'operazione bizzarra e, nell'imminenza del Natale, voglio parlare di Islam. Ne voglio ovviamente parlare non in senso generale, non è questo il mio interesse né sarebbe possibile nello spazio di un articolo, ma in riferimento alla Palestina, perché, come tutti sappiamo, la demonizzazione della Palestina e della sua resistenza passa attraverso la demonizzazione dell'islam. E dall'11 settembre ad oggi, questa è una prassi ben consolidata. Poi tornerò anche sul Natale, ovviamente.
La Palestina fu conquistata dall'esercito islamico rapidamente, e senza spargimento di sangue. Gli imperi che andò a sostituire, quello sassanide e quello bizantino, erano ormai allo stato larvale: esaurita la loro fase storica, vegetavano in attesa della fine, reciprocamente dissanguatisi in secoli di lotte per il predominio. Una forza giovane, entusiasta e ideologicamente motivata li travolse.
Tutti gli storici insistono sul carattere rapidissimo e poco cruento delle conquiste islamiche, davvero un unicum nella storia degli imperi. Ci si è interrogati nel tempo sul carattere peculiare della rapidissima conquista di territori ampi e popolosi. Una delle tesi più accreditate dagli storici è senza dubbio l'agilità statale del nuovo ordinamento, che andava a sostituire l'oppressiva burocrazia bizantina, e la sostanziale libertà di culto concessa dagli arabi anche ai cristiani eretici, come i nestoriani ed i monofisiti, nonché agli ebrei.
All'epoca della conquista della Palestina, il Khalifa, la guida dei credenti, era Omar ibn al-Khattab, Omar il giusto, "colui che sapeva distinguere il bene dal male", ed il primo dei Khalifa al-rashidun, i califfi ben guidati. Innumerevoli sono gli aneddoti su di lui e sulla sua proverbiale giustizia, sul suo stile di vita parco e sobrio, sulla sua rettitudine. Li troverete sicuramente in rete, ed in gran numero. "Di notte non riesco a dormire perché temo che un giorno Dio mi chiederà conto della pecora azzoppata nel fosso sulla strada tra Damasco e Baghdad".
Quest'uomo entrò a Gerusalemme nel 637, accolto dal vescovo Sofronio, il quale gli consegnò le chiavi della città e lo invitò a pregare, in segno di rispetto, nella Basilica del Santo sepolcro. Cosa che Omar ovviamente non fece, onde evitare che un giorno potesse essere trasformato in moschea il "luogo in cui aveva pregato Omar".
Alla popolazione della Palestina fu garantita libertà di culto, compreso agli ebrei che erano stati impediti dai bizantini di professare la loro religione. Chi si convertì all'Islam lo fece di sua spontanea volontà, per ammirazione verso un culto che, per la prima volta, garantiva giustizia sociale, oppure per proprio tornaconto personale. Chi non volle convertirsi, restò ebreo e cristiano fino ai nostri giorni. E difatti, in Palestina, fino al 1948, erano conservate le più antiche chiese della Cristianità, trasformate oggi in night-club per ricchi sionisti americani, oppure semplicemente demolite.
A proposito del Santo Sepolcro: ancora oggi le chiavi del luogo di culto cristiano sono custodite per tradizione da due famiglie notabili musulmane di Gerusalemme, i Joudeh ed i Nusseiba, che hanno il compito, da secoli ormai, di aprirne le porte. Il fatto che i custodi del Santo Sepolcro siano musulmani non deve stupire: è una garanzia di imparzialità verso le numerose confessioni cristiane palestinesi che si contendevano il privilegio della custodia.
La religione islamica non è mai stata declinata in Palestina in chiave fondamentalista. È una caratteristica che non si addice a questo popolo. La terra santa è sempre stata terra di accoglienza e condivisione, e questa attitudine è stata messa in pericolo solo due volte: con le Crociate occidentali e con l'avvento del sionismo.
 
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