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Biden finge di frenare Netanyahu
di
Alessandro Ferretti *
Ormai da settimane leggiamo sui giornali che Biden chiede a Netanyahu di fare meno vittime civili a Gaza e di far cessare le violenze dei coloni in Cisgiordania.
Il governo israeliano non dà alcun peso a queste richieste, anzi le ridicolizza pubblicamente e va dritto per la sua strada. Eppure, nonostante tutto ciò, il governo USA continua imperterrito a sostenere in ogni modo la rappresaglia a Gaza, non solo vetando le risoluzioni ONU per il cessate il fuoco, ma anche fornendo intelligence, munizioni, denaro, la protezione militare della task force che include la portaerei Ford etc.
Molti si chiedono: ma che senso ha? Se veramente Biden volesse incidere sul governo israeliano gli basterebbe sospendere gli aiuti militari: perchè non lo fa? Perché insiste a supportare una strage che sta danneggiando pesantemente l’immagine del suo paese nel mondo?
La spiegazione più semplice è che in realtà Biden menta, che sia tutto un teatrino ipocrita: eppure il danno all’immagine degli USA è reale e si traduce anche in difficoltà concrete.
Esiste però anche un’altra spiegazione, e a indicarcela è nientemeno che il New York Times.
In un articolo pubblicato il 15 dicembre, dal titolo “Gli USA vogliono che Israele ridimensioni la guerra a Gaza. Quale leva ha?”, si legge che Biden avrebbe un discreto numero di modi per farsi valere. Ad esempio: “poiché la maggior parte delle vendite di armi americane avvengono con limitazioni – all’Ucraina, ad esempio, è stato vietato di lanciare missili di fabbricazione americana sul territorio russo – Biden potrebbe porre un limite analogo all’uso di bombe americane in aree civili densamente popolate come Gaza.”. Subito dopo però aggiunge: “Ma farlo potrebbe metterlo in contrasto con la lobby filo-israeliana con la quale è solidale da molti anni.”
Eh già. La lobby filo-israeliana non è una fantasia dei cospirazionisti, esiste veramente ed è ovviamente perfettamente legittima e alla luce del sole. Dal timore che Biden manifesta nel contraddirla si deduce che è anche parecchio potente in termini elettorali, e in effetti è proprio così. Come spiega Jeffrey Helmreich (professore all’Università Irvine in California), “gli elettori ebrei americani mantengono il potenziale di essere *IL* fattore decisivo nelle elezioni nazionali”, per tre motivi:
– sono concentrati negli “swing states”, gli stati decisivi in cui la distanza tra democratici e repubblicani è molto piccola
– hanno la caratteristica unica di spostarsi in blocco (“uniquely swayable block”) sul candidato più supportivo di Israele, a prescindere se sia democratico o repubblicano: in pratica, per loro il supporto a Israele è più importante del partito di appartenenza.
– a differenza di altri temi che invece sono divisivi (diritto all’aborto, affirmative action etc.) e fanno sia guadagnare che perdere voti, il supporto a Israele è compatibile sia con l’agenda dei democratici che con quella dei repubblicani.
Quindi, i candidati presidenti hanno poco da perdere (e tutto da guadagnare) schierandosi con Israele, e anzi sanno che per vincere i voti di questa decisiva fetta di elettorato devono alzare la posta, garantendo il massimo supporto possibile. In pratica, se Biden vuole avere chances di rielezione non può permettersi di inimicarsi gli ebrei americani perchè altrimenti passerebbero a votare Trump, il quale ha già mostrato la sua affidabilità; durante il suo mandato aveva ad esempio riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, cosa che nessun altro presidente USA aveva mai osato fare.
In questo contesto è quindi piuttosto chiaro come mai Netanyahu possa permettersi non solo di ignorare le richieste di Biden, ma anche di essere arrogante. Sa di avere in mano una carta decisiva, e sa anche che comunque andranno le elezioni USA il vincitore sarà un sostenitore di Israele. Certo, alla fine sia Israele che gli USA diventeranno invisi al mondo intero, ma fino a quando gli USA resteranno la più grande potenza militare al mondo è difficile immaginare che tale disprezzo abbia conseguenze concrete.
Vale la pena notare che tutto questo è perfettamente “democratico” ed è reso possibile anche grazie a un sistema di governo presidenziale in cui il presidente ha ampi poteri e viene eletto direttamente, il che garantisce un potere sproporzionato a quei gruppi organizzati disposti a sacrificare le loro visioni politiche generali in nome di un singolo tema. E’ un altro punto sul quale dovremmo avviare una riflessione, anche alla luce della proposta di riforma iperpresidenzialista avanzata recentemente da Giorgia Meloni.
* Coordinatore Commissione Pace dell'Osservatorio
 
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