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11 aprile 2023
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Shoah: da sotto terra alla luna
di Rinaldo Battaglia *

(11 aprile 1945: La liberazione del lager sotto terra di Dora -Mittelbau)

Domenica 8 aprile fu una domenica particolare e non solo per il fatto che la ‘conta’ del pomeriggio fosse stata più blanda del solito, quasi svogliata da parte delle S.S. C’era un clima di paura, davvero di tensione. L’evacuazione era finita? Anche le guardie si percepiva bene che erano preoccupate. Chissà cosa succederebbe loro se arrivassero gli Americani? O peggio i Russi? Si diceva che già qualche Sturmbannfuhrer, piccolo o grande non si precisava, se la fosse svignata, anticipando le ferie estive. Anche la zuppa serale, sebbene con meno clienti, era più liquida del solito e con meno patate e più erbe di campo. In effetti c’era un clima da ‘si salvi chi può’, di smobilitazione totale. Quanto poteva durare?

Parlandone tra di loro, Mazzola e Marietto si sentirono ancora più soli e non è escluso che si siano abbracciati, facendosi forza l’un con l’altro. Facendosi forza e cercando nell’altro la voglia di andar avanti. Si dissero: ‘Sarebbe un peccato farci fregare proprio ora’. Ma era un impegno, non una certezza. Soprattutto Marietto si capiva al volo che stava peggiorando, era sempre più ‘solo ossa’, apatico. Anche la fine di Miro, lo aveva colpito, ma a Mazzola sembrò in maniera meno pesante che nel caso di Tondini. Non era un buon segnale, per nulla un buon segale. Troppe volte, soprattutto a Buchenwald, aveva intuito il destino del giorno dopo.

La notte tra domenica e lunedì fu ancora peggio. Ripresero gli attacchi aerei, le bombe, la contraerea. Ancora una volta Nordhausen era l’obbiettivo. Ancora una volta le bombe erano indirizzate sulla città, su tutto attorno, meno che su Dora. Eppure gli Alleati dovevano aver capito con esattezza dove fosse. Centravano Boelcke-Kaserne con le baracche degli ebrei con precisione millimetrica, dall’alto oramai conoscevano la piazza, il Duomo della Santa Croce, le vie principali e dimenticavano Dora?

Anche gli abitanti di Nordhausen lo capirono. E in massa quella notte si diressero verso i portoni del lager. Volevano entrare in massa e cercare riparo magari nel tunnel. Avevano compreso che gli Alleati non volevano bombardare Dora, le interessava ‘viva’ ed intatta. La conoscevano, la avevano studiata. Nulla era casuale. E non certo per salvare i deportati, le migliaia di ‘haftlinge’ (i deportati schiavi) che strisciavano nelle viscere. Per quanto ridotti nel numero, dopo l’evacuazione del giorno 6.

Le genti di Nordhausen non conoscevano l’esistenza di Dora, si voltavano dall’altra parte, schifati, quando vedevano per sbaglio un ‘haftling’, un inferiore, uno schiavo, un indegno di vivere. Ma gli offrivano anche una mela quando li bruciavano la casa o lo cercavano quando serviva per salvare il loro figlio, sotto le macerie. E ora che la città bruciava ancora una volta, volevano entrare dentro Dora per salvarsi.

Spinsero talmente tanto, con forza e disperazione, che riuscirono ad entrare all’interno del campo. Le guardie aprirono inevitabilmente i portoni. Che strano: per 20 mesi avevano visto solo entrare camion, treni, migliaia di disperati. Ora i disperati erano gli abitanti di Nordhausen. E la disperazione solitamente è pericolosa, non ha freni. Li lasciarono entrare. Non Baer, il grande S.S. Sturmbannfuhrer, che già aveva fatto le valigie diretto forse verso Berlino, dove - si diceva – ci fosse un bunker a prova di russi . Non il genio l’ing. Von Braun, che da mesi progettava e disegnava razzi supersonici, come Ufo-Robot, da altri uffici, più tranquilli e dove la concentrazione era più idonea alle sue necessità intellettive. Doveva, inoltre, ancora scegliere il nuovo datore di lavoro.

Spinsero talmente tanto che il lunedi mattino furono necessari lavori di pulizia e di sistemazione di carattere straordinario. Mazzola e gli altri italiani ‘in superficie’ furono dedicati a questo e poi in paese a sistemare, con altri, i danni provocati dalle bombe alleate, dalle bombe ‘amiche’. E restare fuori da Dora, con la pazzia delle guardie in preda al terrore dei nemici in arrivo da ovest e da sud, fu considerato da Mazzola una fortuna inattesa.

Che per i tedeschi le cose andassero male, ne ebbe una ulteriore conferma martedi 10 aprile, quando al ritorno alla sera, nessun camion delle guardie andò a prendere gli ‘haftling’. Le guardie erano sparite, diventate anche loro ‘fantasma’. Mazzola, Marietto e gli altri dovettero prendere a piedi la strada di Dora. Anche loro pensarono che fosse la più sicura, nel caso in cui fossero arrivati di nuovo gli aerei della Royal Air Force. Tanto non avrebbero bombardato il lager. Magari avrebbero più facilmente colpito le baracche dei poveri ebrei di Boelche-Kaserne, per quanto pochi ne fossero rimasti ancora vivi.

Arrivarono tardi al cancello del lager, si fecero riconoscere, nessuno chiese il perché del viaggio a piedi (strano vero?), andarono a prender la zuppa. Ma era finita o meglio in cucina non erano arrivate quel giorno le scorte alimentari. Ricevettero del pane secco, della margarina, del formaggio vecchio che di solito era di pura spettanza dei soldati delle S.S. Anche la ‘conta’ di fatto era saltata. Mai successo prima. Verso sera, quasi del tutto sparirono le guardie. Fantasmi anche loro? Cosa stava succedendo a Dora?

Andarono in branda più per stanchezza che altro, ma la preoccupazione sul giorno dopo esisteva. Eccome. Alle 4.00 non suonò la sirena, o meglio nessuno se ne accorse. Qualche minuto prima, delle jeep e dietro i camion della 3a Divisione Corazzata Americana del gen. Doyle Overton Hickey erano giunti al cancello di Dora, trovato peraltro aperto ed incustodito. Qualche ora dopo, dentro i reticolati, parcheggiarono i loro carri armati.

E Mazzola, Marietto per quanto ammalato e senza fiato, gli altri reduci, li guardarono arrivare come fossero ad una festa o ad una parata militare. Mazzola soprattutto. Era l’11 di aprile, mercoledi, più tardi accompagnato da un pallido sole primaverile.

Un anno prima in quei giorni Mazzola decideva di abbandonare il mondo falso dei podestà, l’ipocrisia delle marce al sabato da balilla, delle morti quali scuola di vita alle Officine Pellizzari. Ora, ufficialmente, era di nuovo uomo libero. Forse per la prima volta da quand’era nato. Ufficialmente libero. Finalmente libero. Libero! L’11 aprile 1945, mercoledi, solo tre giorni dopo la domenica. Perchè a Dora il calendario si misurava ancora in domeniche, il giorno scelto dal demonio per distinguere chi poteva proseguire e chi doveva morire subito, impiccato o dopo 25 frustate nella schiena, spettacolo a cui nessuno, nessuno poteva esimersi.

Era gioco di vita, godimento da ‘panem et circenses’ e siccome il ‘panem’ era maledettamente scarso si compensava abbondando in ‘circenses’, dove i ‘murituri’ venivano scelti quasi a caso e a cui, però, non era richiesto il saluto all’Imperatore. Ogni domenica c’erano molti da punire, di sabotatori soprattutto. Eppure per quanti ne impiccassero la domenica in pubblica piazza o nelle giornate settimanali, direttamente dal produttore al consumatore, direttamente dalle S.S. o dalla Gestapo al povero ‘haftling’ o anche al Vorarbeit di turno, i sabotaggi a Dora aumentarono, giorno per giorno, settimana in settimana, mese su mese. Aumentarono sempre più. Anche e soprattutto nelle ultime settimane di Dora.

Sabotaggi quali forma di lotta, attivati in tutte le maniere possibili, dal danneggiamento dei prodotti da assemblare, ai guasti generati nell’impiantistica, a saldature sbagliate ed incomplete, alla manomissione degli strumenti di misura in modo da produrre tarature errate. Anche ‘fare la pipì’ diventava sabotaggio, quando avveniva ‘di nascosto sui motori elettrici, per mandarli in corto circuito a momento dell’accensione’.

Oltre ai più prevedibili furti di utensili, maggior creazione di scarti e soprattutto – il più facile - il rallentamento dei tempi di produzione. Sabotaggi quali vera forma di ‘resistenza’.

Anche questa, sebbene nessuno lo dica, anche questa è stata un’altra ‘Resistenza’. Come quella di chi scappava in montagna per combattere il nazi-fascismo. Come quella di chi disse No al Duce e venne spedito nei lager con l‘etichetta ‘IMI’. Come quella delle mie parti di Ubaldo, Dante o Patata.

Resistenza al fascismo e al nazismo. Resistenza. Resistenza. Cos’altro?

Mazzola non lo saprà mai e così forse tutti gli altri ‘haftlinge’, ma davvero dentro Dora vi furono molti eroi a cui nessuno mai dedicherà vie, piazze o mausolei ad Affile o Predappio, eroi nascosti, vestiti da schiavi, condannati a morte certa e in breve tempo, ma che fecero di tutto per bloccare e rallentare le medaglie o le promozioni al genio Von Braun. Ma più che alle sue mancate medaglie, quegli eroi pensavano alle donne di Londra, ai bambini di New York, ai ragazzi dei quartieri neri del Bronx o ai ricchi dei palazzi di Manhattan.

Se Von Braun non riuscì a perfezionare la V-2, a non dare maggiore spinta al reattore, a non costruire subito la V-3, ad esser obbligato a realizzare solamente dopo 25 anni un super-propulsore capace non solo di arrivare a New York, ma perfino di circumnavigare la terra o di toccare il suolo lunare con un dito, sarà solo e soltanto merito degli eroi nascosti di Dora. Molti morirono impiccati, altri si spensero come fiamme di candela quando la cera finisce, molti vennero sepolti dentro le viscere di Dora, ma riuscirono a fermare il genio della scienza o meglio colui che la NASA anni dopo onorerà come ‘indubbiamente il più grande scienziato della tecnica missilistica ed aerospaziale della storia’. Probabilmente la NASA era parte interessata, ma il giudizio non può che rispecchiare la genialità eccezionale di Von Braun.

Direttore del Marshall Space Flight Center, inventore e progettista di Saturn V SA-506, il super-propulsore di Apollo 11, quello che il 21 luglio 1969 portò l’uomo a passeggio sulla luna, insignito con la National Medal of Science nel 1975, onorato con 25 lauree honoris causa, celebrato con tanto di dedica di un cratere sulla luna nel 1994 col suo nome. Caso più unico che raro, concesso a pochissimi ‘terrestri’.

Ma anche sporco criminale di guerra e dell’umanità, assassino di quartieri di intere città, sterminatore crudele di una generazione nelle viscere di Dora e di altri lager o campi collegati. Mazzola non lo saprà mai, ma senza gli impiccati di Dora il mondo oggi sarebbe diverso.

E a premiare Von Braun non sarebbe stato Eisenhower (sì, proprio lui) o Nixon ma Adolf Hitler, forse vent’anni prima. Renè Steenbeke, un haftling’, uno schiavo di Dora, sopravvissuto, non a caso un giorno disse che “Tutto ciò che è ora nello spazio ha avuto le sue origini qui, non in America o in Russia”.

11 aprile 2023 – da ‘Alla sera mangiavamo la neve’ - ed. AliRibelli 2021

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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