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28 maggio 2013
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Corte di Strasburgo : se violenze domestiche continuano , Stato responsabile
di Rita Guma

Oggi, 28 maggio, la Corte dei diritti dell'uomo ha sancito che lo Stato che non abbia saputo tutelare una donna e la sua prole da un marito violento è responsabile di trattamenti disumani e degradanti.

Il caso riguardava un donna della Repubblica di Moldova che, come da ricostruzione della Corte europea, veniva spesso picchiata davanti alle due figlie dal marito, un poliziotto dedito al bere. Dopo una formale diffida da parte delle autorità, l'uomo era divenuto ancora più volento e aveva tentato di soffocare la moglie, la quale chiedeva un divorzio in via d'urgenza, ma senza successo, e un ordine di protezione che infine veniva concesso. Esso stabiliva che l'uomo dovesse mantenersi ad almeno 500 metri dalla casa familiare e restare per 90 giorni senza avere contatti con moglie e figlie.

La disposizione era stata disattesa più volte, con nuove violenze, ma una Corte d'Appello accoglieva la richiesta dell'uomo, revocando l'ordine di protezione. In occasione di una nuova denuncia della donna, le autorità di polizia cercavano di fargliela ritirare argomentando che se il poliziotto avesse avuto una macchia sulla fedina penale, avrebbe perso il lavoro e le figlie ne avrebbero subito ripercussioni a scuola e sulla carriera. Anche i servizi sociali cercavano di spingere la donna ad una riconciliazione, dicendole che non era la prima nè l'unica a trovarsi in situazioni di violenza domestica.

Nonostante l'uomo avesse confessato di battere la moglie, un'indagine penale avviata due anni dopo l'inizio delle violenze veniva sospesa per un anno perchè - sottolinea la Corte di Strasburgo, il procuratore riteneva che l'uomo non fosse un pericolo per la società (nonostante le testimonianze e le evidenze mediche degli abusi). L'inchiesta sarebbe stata riaperta qualora l'uomo avesse commesso nuove violenze in quel periodo.

I giudici europei hanno rilevato che, nonostante la conoscenza degli abusi e l'esistenza in Moldova di leggi che tutelano le vittime di violenze domestiche e prevedono provvedimenti contro gli accusati di tali violenze, le autorità hanno fallito nel prendere misure effettive contro il marito violento e nel proteggere la moglie da ulteriori violenze, così come hanno rifiutato di esaminare d'urgenza la richiesta di divorzio della donna e non hanno intrapreso alcuna azione per tutelare le figlie adolescenti dagli effetti psicologici negativi delle violenze di cui erano testimoni.

A giudizio della Corte, il comportamento delle autorità era stato discriminatorio e teso a scusare le violenze. La Corte ha stabilito all'unanimità che lo Stato si è reso responsabile nei confronti della donna di violazione della Convenzione dei diritti del'uomo. In particolare, nei confronti della donna, ha violato la proibizione di trattamenti disumani e degradanti e il divieto di discriminazione di genere e, verso le figlie, ha violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Per tutte queste ragioni, la Corte ha condannato lo Stato a pagare alla donna e alle figlie i danni immateriali, nonché costi e spese.


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