Corte di Strasburgo : se violenze domestiche continuano ,
Stato responsabile
di
Rita Guma
Oggi,
28 maggio, la Corte dei diritti dell'uomo ha sancito che lo
Stato che non abbia saputo tutelare una donna e la sua prole
da un marito violento è responsabile di trattamenti disumani
e degradanti.
Il caso riguardava un donna della Repubblica di Moldova che,
come da ricostruzione della Corte europea, veniva spesso picchiata
davanti alle due figlie dal marito, un poliziotto dedito al
bere. Dopo
una formale diffida da parte delle autorità, l'uomo era divenuto
ancora più volento e aveva tentato di soffocare la moglie,
la quale chiedeva un divorzio in via d'urgenza, ma senza successo,
e un ordine di protezione che infine veniva concesso. Esso
stabiliva che l'uomo dovesse mantenersi ad almeno 500 metri
dalla casa familiare e restare per 90 giorni senza avere contatti
con moglie e figlie.
La
disposizione era stata disattesa più volte, con nuove violenze,
ma una Corte d'Appello accoglieva la richiesta dell'uomo,
revocando l'ordine di protezione. In
occasione di una nuova denuncia della donna, le autorità di
polizia cercavano di fargliela ritirare argomentando che se
il poliziotto avesse avuto una macchia sulla fedina penale,
avrebbe perso il lavoro e le figlie ne avrebbero subito ripercussioni
a scuola e sulla carriera. Anche i servizi sociali cercavano
di spingere la donna ad una riconciliazione, dicendole che
non era la prima nè l'unica a trovarsi in situazioni
di violenza domestica.
Nonostante
l'uomo avesse confessato di battere la moglie, un'indagine
penale avviata due anni dopo l'inizio delle violenze veniva
sospesa per un anno perchè - sottolinea la Corte di Strasburgo,
il procuratore riteneva che l'uomo non fosse un pericolo per
la società (nonostante le testimonianze e le evidenze mediche
degli abusi). L'inchiesta sarebbe stata riaperta qualora l'uomo
avesse commesso nuove violenze in quel periodo.
I
giudici europei hanno rilevato che, nonostante la conoscenza
degli abusi e l'esistenza in Moldova di leggi che tutelano
le vittime di violenze domestiche e prevedono provvedimenti
contro gli accusati di tali violenze, le autorità hanno fallito
nel prendere misure effettive contro il marito violento e
nel proteggere la moglie da ulteriori violenze, così come
hanno rifiutato di esaminare d'urgenza la richiesta di divorzio
della donna e non hanno intrapreso alcuna azione per tutelare
le figlie adolescenti dagli effetti psicologici negativi delle
violenze di cui erano testimoni.
A
giudizio della Corte, il comportamento delle autorità era
stato discriminatorio e teso a scusare le violenze. La Corte
ha stabilito all'unanimità che lo Stato si è reso responsabile
nei confronti della donna di violazione della Convenzione
dei diritti del'uomo. In particolare, nei confronti della
donna, ha violato la proibizione di trattamenti disumani e
degradanti e il divieto di discriminazione di genere e, verso
le figlie, ha violato il diritto al rispetto della vita privata
e familiare.
Per
tutte queste ragioni, la Corte ha condannato lo Stato a pagare
alla donna e alle figlie i danni immateriali, nonché costi
e spese.
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