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06 settembre 2012
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L'autorizzazione degli impianti di elettricità da fonti rinnovabili
di Daniela Bauduin*

A seguito della decisione del Consiglio dei ministri di negare l'autorizzazione alla realizzazione di un impianto di energia elettrica alimentato a biogas, facendo applicazione del principio di precauzione, come propugnato dalla Asl e dal Comune intervenuti e da un Comitato di cittadini, pubblichiamo un approfondimento dell'avv. Bauduin sugli strumenti che hanno portato alla decisione.

Il procedimento amministrativo volto a decidere sulla domanda di autorizzazione alla costruzione e gestione di impianti che producono energia elettrica da fonti rinnovabili è disciplinato dall'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 che dà attuazione alla direttiva comunitaria (dir. 2001/77/CE) relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità.

La disposizione prevede un procedimento unico, cui le amministrazioni interessate partecipano attraverso l'istituto della Conferenza dei servizi decisoria, nella quale confluiscono tutti gli apporti amministrativi necessari per realizzare e gestire l'impianto, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili. Nell'ipotesi in cui un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita` manifesti il proprio motivato dissenso, la questione e` rimessa alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, in omaggio al principio di sussidiarietà e di leale collaborazione.

In questo procedimento tipico si innesta la legge n. 241 del 1990 che disciplina, in via generale, l'esercizio del potere amministrativo autoritativo e garantisce il diritto di accesso ai documenti amministrativi, che è ineludibile strumento di trasparenza e partecipazione ai processi decisionali. A tal riguardo, la giurisprudenza ritiene che il criterio per differenziare e qualificare la posizione dei singoli che agiscono per la tutela dell'ambiente sia rappresentato dalla "vicinitas", che non coincide con la proprietà o con la residenza in un'area immediatamente confinante con quella interessata dall'intervento contestato, ma deve essere inteso in senso elastico, quindi modulato in proporzione alla rilevanza dell'intervento e alla sua capacità di incidere sulla qualità della vita dei soggetti che risiedono in un'area piu` o meno vasta (si veda: Tar Piemonte, Sez. I, n. 635 del 2011).

Il principio 10 della dichiarazione che risulta dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo, riunitasi a Rio de Janeiro dal 3 al 14 Giugno 1992, prevede che ogni individuo abbia diritto di accesso alle informazioni relative all'ambiente, in quanto le questioni ambientali vengono affrontate al meglio con la partecipazione di tutti i cittadini interessati.

La Convenzione di Arhus (Danimarca) del 25 giugno 1998, ratificata dal nostro Paese con la legge 16 marzo 2001, n. 108, prosegue nel riconoscere che un più ampio accesso alle informazioni ed una maggiore partecipazione migliorano la qualità delle decisioni e ne rafforzano l'efficacia. Attraverso il contributo delle comunità locali si arricchisce quell'istruttoria che rappresenta il cuore del procedimento amministrativo, in quanto in essa devono emergere tutti gli interessi coinvolti nella decisione ai fini del loro bilanciamento.

Nella materia in discorso l'amministrazione deve verificare che la domanda presenti quel contenuto minimo che le linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, approvate con il decreto del Ministero dello Sviluppo economico 10 settembre 2010, prevede a pena di improcedibilità. Inoltre, l'istruttoria deve tenere conto della situazione in cui il nuovo intervento vuole inserirsi, senza cioè limitarsi ad esaminare il progetto come fatto isolato, ma considerando il contesto paesaggistico, ambientale e territoriale di fondo, nonchè la sua interazione con altri impianti preesistenti.

Peraltro, dalla qualificazione dell'impianto proposto come "industria insalubre di I classe" ex art. 216 del R.D. n. 1265/1934 (che ha approvato il testo unico delle leggi sanitarie), in quanto compreso nella voce "centrali termoelettriche" (sezione C punto 7 del decreto del Ministero della Sanità 5 settembre 1994), discende un notevole condizionamento dell'istruttoria. In particolare, il soggetto procedente deve verificare che l'industria insalubre sia isolata nella campagna e tenuta lontana dalle abitazioni oppure che, pur collocata nell'abitato, sia accompagnata dall'introduzione di particolari metodi produttivi o cautele in grado di escludere qualsiasi rischio di compromissione della salute del vicinato.

Si tratta di applicare il principio di precauzione, che consente di far fronte a un possibile pericolo per la salute oppure per l'ambiente, nel caso in cui i dati scientifici non permettano una valutazione completa del rischio. Uno strumento prezioso nel caso in cui, per esempio, l'industria insalubre sia vicina alle abitazioni civili, in quanto mancano disposizioni che disciplinino la distanza minima delle unita` immobiliari dagli impianti, tenendo conto delle diverse fonti rinnovabili e delle diverse taglie di impianto.

In conclusione, chi scrive ritiene che Stato e Regioni, ciascuno secondo le proprie competenze, dovrebbero intervenire a colmare gli ancora esistenti vuoti normativi, facendo sì che l'elevato livello di decentramento amministrativo possa trasformarsi in un elemento di maggiore vicinanza delle valutazioni alle caratteristiche del territorio, la cui tutela è significativamente collocata tra i principi fondamentali della nostra Costituzione (art. 9).

* avvocato, membro del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio


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