Relatori del convegno MOBBING
E STALKING aspetti penali, procedurali e civili
ABSTRACT
dell'INTERVENTO di Mario ZANCHETTI*
Professore
Ordinario di Diritto Penale Facoltà di Giurisprudenza Università
"Carlo Cattaneo" - LIUC
TITOLO:
"Buone
intenzioni e cattiva tecnica: la fattispecie di stalking a
due anni dell’introduzione"
Un’aderenza del fatto al diritto, una simpatia tra il diritto
e il fatto, è questo il compito del legislatore penale, di
creare un prodotto empiricamente corretto. Ciò non sembra
essere accaduto per il reato di atti persecutori, noto a tutti
come reato di stalking, e questo perché, allo stato delle
cose, le conoscenze sullo stalking descrivono un
fenomeno piuttosto che un fatto, un modello di interazione
soggettiva piuttosto che una vera e propria condotta precisamente
e sanzionalmente identificabile.
Alla
luce di tali serie difficoltà definitorie, le possibili soluzioni
che il Relatore rileva possono essere di due tipi:
1.
il modello che consapevolmente non prevede il reato di stalking,
come ha insegnato l’esperienza penalistica scozzese, preferendo
contrastare il fenomeno con altre offences più
o meno tradizionali (harassment e breach of peace)
e con order/interdict a tutela della potenziale vittima,
evitando così di legare la disciplina antistalking alle molestie
e alle minacce (come è invece accaduto in Italia) o a disposizioni
eccessivamente selettive o discordanti con la realtà;
2.
il modello che disciplina il reato di stalking, come
accaduto in Italia, costruendo un esempio di legge penale
empiricamente e giuridicamente scorretta, costruita a cerchi
concentrici di indeterminatezza sia per quanto riguarda
la condotta che per quanto riguarda l’evento. Per l’interpretazione
della norma de qua, punti di riferimento sono gli artt.
612 e 660 c.p..
E'
proprio in tale contesto, rilevanti sono le difficoltà quando
si cerca di estendere l’esperienza giurisprudenziale del reato
contravvenzionale di molestia (ex art. 660 c.p.) al reato
di stalking, vuoi per la peculiarità del bene giuridico
tutelato dall’art. 660 che sembra essere l’ordine e la tranquillità
pubblica, che per le limitazioni che la stessa norma pone,
che mal si conciliano con quelle condotte definite unitariamente
come cyberstalking (invio di emails, discredito e assilla
mento della vittima su social network, ecc…), che sicuramente
dovrebbero rientrare nell’art. 612 bis.
Sul
piano dell’elemento oggettivo, la fattispecie di stalking
presenta la struttura del reato abituale, peccando però di
indeterminatezza rispetto al momento in cui tale reiterazione
risulti essere integrata. In proposito, sembra opportuno richiamare
quella giurisprudenza formatasi in relazione ad altri delitti
abituali (es. art. 572 c.p.), in cui vengono valorizzati quegli
atti che non hanno tratto origine da situazioni contingenti
e particolari ma che rientrano all’interno di una cornice
unitaria, che cioè sono legati sul piano oggettivo da un nesso
di abitualità e, sul piano soggettivo, da un’unica intenzione
criminosa.
Il Relatore evidenzia però, come la giurisprudenza, rispetto
al reato di stalking, valorizzi un criterio prettamente
quantitativo.
Sotto
il profilo della procedibilità, è prevista la regola
della procedibilità a querela con una estensione da tre a
sei mesi il termine per proporla, in analogia con i delitti
di cui agli artt. 609 bis ss. E’ pacifico dover ritenere che
il termine per la proposizione della querela debba decorrere
dal compimento dell’ultimo atto del presunto stalker, ma è
da sottoporre a critica il regime di non irrevocabilità della
querela, con cui il legislatore ha creato una disciplina unica
nel suo genere in cui la parte lesa può procedere alla remissione
nonostante, magari, fosse in corso una misura cautelare nei
confronti dell’indagato. Il
Relatore, al riguardo, evidenzia come l’assenza di tale protezione
processuale non escluda la possibilità che la vittima sia
soggetta a tentativi, più o meno diretti, volti alla ritrattazione
della querela.
Altro
profilo problematico è la configurabilità del reato di
stalking come reato di danno o come reato di pericolo.
Valorizzare le espressioni “in modo da cagionare”,
“in modo da ingenerare”, “in modo da costringere”,
per concludere che non si è di fronte ad aventi in senso naturalistico
ma ad una fattispecie di condotta a pericolo concreto, sarebbe
poco rispettoso del principio garantistico in dubio pro
reo, e farebbe venir meno la differenza del reato di stalking
con quello di molestia e di minaccia.
Il
Relatore affronta anche il delicato problema del significato
preciso dei singoli eventi. Locuzioni come “lo stato d’ansia
e di paura” e “il fondato timore”, possono essere
lette sia in chiave soggettiva che oggettiva, ma in
entrambi i casi, la norma sarebbe caratterizzata da marcata
indeterminatezza, e quindi da un possibile vizio di costituzionalità,
come del resto è avvenuto con il reato di plagio, ritenuto
incostituzionale per l’impossibilità di attribuire ad esso
un contenuto oggettivo, coerente, razionale e suscettibile
di prova in giudizio.
È lecito quindi dubitare che il legislatore del 2009 sia riuscito
a conseguire l’obiettivo di una piena compatibilità tra il
nuovo reato di atti persecutori e quell’esigenza di sufficiente
determinatezza che per vincolo costituzionale dovrebbe connotare
la legiferazione in materia penale. Tuttavia, occorre considerare
la difficoltà di ricondurre ad una fattispecie unitaria
la molteplicità dei comportamenti unificati dalla natura “persecutoria”:
come è evidente dall’analisi comparativa con altri ordinamenti,
quale quello tedesco che pure mostra e forse in modo più accentuato
tali difficoltà.
* i contenuti possono essere prelevati citando autore e fonte,
non alterandoli e rispettando le vigenti leggi sul diritto
d'autore. E' fatto espresso divieto di utilizzarli a scopo
di lucro.
|