Osservatorio sulla legalita' e sui diritti
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Relatori del convegno MOBBING E STALKING aspetti penali, procedurali e civili

ABSTRACT dell'INTERVENTO di CLAUDIA CIMMINO*
Psicologa e psicoterapeuta

TITOLO: "Il danno psichico: criteri di qualificazione e quantificazione"

< prima parte

2 - LA DETERMINAZIONE DEL DANNO PSICHICO

_ L'oggetto dell'indagine peritale _ A questo punto abbiamo a disposizione tre concetti sui quali contare per affrontare il problema della quantificazione del danno:

· il concetto di sofferenza psichica (persecutoria, depressiva, confusionale) che esita, nel caso della sua intolleranza, in un disturbo psichico;

· il concetto di funzione psichica che rende ragione di tale esito in quanto si ritiene che questo dipenda da carenze relative alle funzioni psichiche positive (capacità di generare amore, infondere speranza, contenere l'ansia depressiva, pensare) o dalla presenza di funzioni psichiche negative (suscitare odio, seminare disperazione, trasmettere ansia persecutoria, creare confusione).

· il concetto di area di realizzazione della personalità che riguarda quelle aree operative o relazionali nelle quali il soggetto tende a realizzarsi. La determinazione dell'eventuale danno psichico avviene attraverso l'indagine che riguarda tutti e tre questi elementi; nel senso che l'evento traumatico deve aver prodotto dei mutamenti negativi relativamente a tutti e tre gli elementi considerati.

E' indifferente quale sia l'ordine in cui tali elementi vengono presi in considerazione. Possiamo, ad esempio, iniziare confrontando quale sia stata la situazione relativa alle aree di realizzazione ante evento traumatico e poi confrontarla con la situazione attuale. Possiamo poi verificare quale sia il tipo di ansia sofferto dal soggetto dopo l'evento traumatico evidenziando la correlazione tra tale tipo di ansia e i turbamenti avvenuti nelle diverse aree di realizzazione. Possiamo infine confermare questa correlazione indagando sul grado di efficienza delle singole funzioni. Ocorre anteporre alla presentazione dei nostri criteri di quantificazione alcuni problemi non affatto marginali che riguardano sia la determinazione che il rapporto causale tra evento traumatico e danno psichico. Affronteremo qui il problema delle concause e il problema della "negazione" del disagio psichico.

_ Il problema delle concause _

E' noto che per ottenere il risarcimento di un danno psichico è necessario dimostrare, oltre all'esistenza effettiva del danno, anche che tale danno è in rapporto di causa-effetto con l'evento considerato come traumatico. E' anche necessario che colui che ha subito il danno non abbia avuto alcuna responsabilità, né per quanto riguarda il verificarsi dell'evento traumatico, né per quanto riguarda il suo livello di gravità.

A tale riguardo l'obiezione che sovente viene opposta alla richiesta di risarcimento dalla parte "resistente" non è tanto, o non solo, quella che contesta l'esistenza del danno psichico o la sua gravità; ma quella secondo la quale il disagio psichico presentato dal soggetto non può essere imputato al fatto traumatico in quanto già preesistente. In tal caso, la richiesta di un risarcimento non avrebbe fondamento mancando il rapporto causale. Il principio che sosteniamo da tempo è che un evento dannoso sia da considerarsi responsabile di un danno psichico (ma anche fisico) sia che si tratti di un fattore causale diretto, sia che si tratti di una causa "scatenante".

Anzi, possiamo dire di più, e cioè che ogni causa di danno psichico è sempre, in qualche modo, "scatenante", in quanto interviene a turbare una situazione psichica che è frutto di un equilibrio instabile. Sappiamo che la psiche umana è sempre strutturata in termini di "equilibrio instabile" e che il processo di adattamento richiede sempre un controllo pulsionale tra desiderio e impulso da un lato, e capacità di controllo da un altro.

Compito di una indagine sulla esistenza e sulla entità di un danno psichico non può, a nostro avviso, che fondarsi su una comparazione tra stato funzionale ante e stato funzionale post traumatico. Non ci si può basare su un criterio che parta dalla gravità dell'evento (che è sempre una mera opinione), ma su uno che si basi sugli effetti di tale evento, sapendo che lo stesso evento può sortire effetti diversi in soggetti diversi.

3- LA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO PSICHICO

_ I diversi livelli di gravità delle menomazioni funzionali _

Scegliamo come parametri di riferimento quattro diverse fasce di gravità corrispondenti ad altrettanti intervalli percentuali. Il danno psichico è stato cosi suddiviso in:

Danno lieve
Danno rilevante
Danno grave
Danno molto grave

Fasce che corrispondono rispettivamente alle fasce percentuali 0-10, 10-33, 33-66, e oltre 66. Esse sono state mutuate dai diversi criteri presi in considerazione dai vari Istituti previdenziali (INAIL, INPS) o contenuti in alcune norme di legge (vedi: Legge sulle assunzioni obbligatorie), per cui riteniamo che corrispondano ad una scala di gravità che trova diffuso consenso.

Per coerenza dobbiamo precisare che quando parliamo di danno lieve intendiamo riferirci alla entità del danno e non alla gravità della patologia. Per quanto riguarda la patologia, infatti, non possiamo accettare che si dichiari, ad esempio, che il soggetto soffre di una depressione lieve e si quantifichi una corrispondente invalidità lieve, in quanto la logica è solo apparente. Vale a dire che perché a un soggetto residui una invalidità permanente la sofferenza psichica deve essere comunque consistente per turbare un assetto e un equilibrio di personalità. Inoltre, poiché esaminiamo diverse aree di realizzazione della personalità, un'area può essere colpita in maniera lieve, mentre altre aree possono essere colpite in modo più rilevante.

Per valutare l'incidenza del disagio psichico nelle diverse aree relazionali, abbiamo suddiviso tali aree in sotto-fasce (bassa, media, alta) con valori percentuali crescenti. Per cui:

· il danno lieve sarà valutato come corrispondente al 5% (valore medio tra 0 e 10);

· il danno rilevante sarà valutato come corrispondente al valore medio di una delle 3 sotto-fasce in cui abbiamo suddiviso l'intervallo che va dal 10 al 33% (14-22-30%);

· il danno grave sarà valutato come corrispondente al valore medio di una delle 3 sotto-fasce dell'intervallo che va dal 33 al 66% (38.5-49.5-60.5%);

· il danno molto grave sarà valutato come corrispondente al valore medio di una delle 3 sotto-fasce dell'intervallo che va dal 66 al 100% (71.5-82.5-93.5%).

Non si tiene conto di danni superiori all'93.5% in quanto riservati al caso di decesso o a casi con gravissimo danno psichico irreversibile che rappresentano delle eccezioni che potranno comunque essere valutati secondo la discrezionalità del giudice. Esiste del resto un pregiudizio difficilmente superabile che tende a sottovalutare l'entità del danno psichico rispetto al danno fisico per il quale le valutazioni vicine al 100% sono invece previste (vedi gli stati di coma, gli stati molto simili ad un'esistenza vegetativa; stati di paralisi totale che pur non sono incompatibili con la vita psichica ecc.).

_ Altri problemi e considerazioni _

Una delle domande che ci si può porre riguardo ai criteri di quantificazione è la seguente: è sempre necessario provare l'esistenza del danno per giungere alla sua determinazione? Oppure vi sono casi nei quali il danno può essere presunto (capovolgendo quindi l'onere della prova) o addirittura certo? A tale proposito potremmo distinguere tre categorie di atti o comportamenti illeciti:

a) atti o comportamenti certamente traumatici, ai quali il danno psicologico e la sua entità possono essere imputati senza onere di prova [damnum certum et certum quantum] In tali casi, sia il nesso causale, sia la quantificazione del danno, possono essere dati indipendentemente dal fatto che i suoi effetti siano immediatamente constatabili. Anche perché questi casi sono caratterizzati dal fatto che spesso il danno psichico prodotto si rivela nella sua entità solo nel lungo termine (i. e. violenza sessuale perpetrata da un adulto su di un bambino). La prova dovrebbe pertanto essere superflua. Potremmo definirla come la categoria del danno psicologico "certo". Tale categoria è comunque un contenitore che può essere riempito da una tipologia del danno solo dopo un'attenta valutazione psicologica che sia, inoltre, convincente al punto da poter avere l'avallo in sede giurisprudenziale.

b) atti o comportamenti certamente psicologicamente dannosi, ma per i quali l'entità del danno psicologico loro attribuibile è grandemente variabile. [damnum certum, quantum incertum]. L'abbandono di un bambino da parte del padre (fermo restando l'affidamento alla madre), è certamente dannoso, ma occorre un'accurata indagine per accertarne la gravità (durata, figure vicarie ecc.). Ciò che differenzia questa categoria dalla precedente è che l'entità del danno deve sempre essere accertata. Non sempre alla certezza del danno corrisponde quindi un'elevata gravità.

c) atti o comportamenti o fatti definibili come illeciti ma la cui natura traumatica o lesiva relativamente alla insorgenza di un danno psichico, deve sempre essere provata; [damnum incertum et quantum incertum]. I casi che rientrano in questa categoria sono forse la maggioranza e possono riguardare anche vaste aree del Diritto. Un esempio in tal senso è dato dal così detto danno da mobbing che è concomitante con fattispecie regolate dal Diritto del lavoro; un altro esempio è dato dai danni che hanno a che fare con il contesto familiare e quindi con fattispecie regolate dal Diritto di famiglia. E' anche il caso di tutti gli atti illeciti che comportano una lesione fisica permanente; non è detto che necessariamente abbiano effetti psicologicamente dannosi.

Un danno fisico ha poi effetti diversi a seconda che sia subito da un soggetto sano o già menomato. Basti pensare ad un danno subito da un invalido all'unico arto sano, o un danno visivo subito da una persona con visione monoculare.

_ Danno da atto o comportamento lecito _

Un atto normalmente lecito può in certi casi perdere la sua liceità e quindi diventare imputabile e quindi responsabile di un danno? Alcuni atti debbono la loro traumaticità all'atteggiamento dell'agente. Un imprenditore può legittimamente comunicare l'avvenuto licenziamento per giusta causa ad un suo dipendente, ma non può farlo in maniera che questa comunicazione dia luogo ad un'umiliazione essendo stata, ad es., effettuata dinanzi ai colleghi e in modo tale da offendere la dignità dell'interessato.

_ Il danno indiretto _

Si tratta di un danno "conseguenza", il cui risarcimento non viene richiesto dalla vittima che è rimasta direttamente lesa dall'evento, ma da colui sul quale il danno, in funzione del fatto che il danneggiato era un congiunto od una persona talmente significativa per lui, è "rimbalzato" (da qui la definizione del danno indiretto come "danno da rimbalzo"). L'esempio tipico è quello del danno da uccisione o da grave lesione di un congiunto. Il danno indiretto dovrebbe essere preso in considerazione quando è di una certa gravità e quando il soggetto che vanta un danno indiretto abbia davvero un forte legame affettivo con la vittima. A rigor di logica, infatti, quasi tutti i danni possono in qualche modo "rimbalzare" sui congiunti; da qui la necessità di valutare la cosa in termini di gravità e di consistenza del legame affettivo.

_ Il danno da omissione _

Possiamo ragionevolmente affermare che vi possono essere danni prodotti da un'omissione piuttosto che da un concreto atto o comportamento dannoso. L'omissione riguarda non tanto i doveri quanto gli obblighi; anche se, in fondo, anche quando nel diritto si parla di dovere spesso si intende che il soggetto è obbligato ad adempiere a quel dovere che quindi, di fatto, diventa un obbligo. La distinzione tra doveri e obblighi a volte è giuridicamente rilevante. Se, ad esempio, un cittadino nota che un minore versa in uno stato di abbandono egli (a meno che non abbia un particolare ruolo in ambito educativo-istituzionale) ha il dovere e non l'obbligo di denunciare il fatto; ma se per la mancata denuncia il minore subisse un grave danno che la denuncia avrebbe certamente evitato?

_ Tipologia del danno psichico _

La tipologia del danno tende, oggi, ad allargarsi e ad approfondirsi al punto che alcuni tipi di danno possono costituire per lo psicologo giuridico una sorta di "specializzazione" in quanto richiedono un attento approfondimento del campo di applicazione, oltre che della natura degli eventi dannosi come, ad esempio, nel caso del danno da mobbing. Spesso è un problema legale prima ancora che psicologico, in quanto la questione della responsabilità e della imputabilità è prioritaria.

I tipi di danno vanno distinti solo a scopo euristico in quanto non costituiscono "voci" distinte di danno: esse confluiscono tutte nel danno biologico di natura fisica e/o psichica. La loro distinzione è necessaria, come dicevamo, per i problemi della definizione e della determinazione del danno.

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