|
Privacy
e istruttoria nel processo di famiglia
di
avv. Matteo Santini*
IL
DECRETO LEGISLATIVO 196/2003 (PRINCIPI GENERALI E DEROGHE
IN AMBITO GIUDIZIARIO)
Il diritto alla riservatezza è un diritto fondamentale della
persona, tutelato dalla Carta costituzionale stessa. In particolare,
tale matrice costituzionale è rinvenuta nell'articolo 2 della
Costituzione, che “garantisce i diritti inviolabili dell'uomo,
sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge
la sua personalità”. Accanto a tali norme di portata generale,
il diritto alla riservatezza è indirettamente tutelato anche
da ulteriori disposizioni a carattere specifico, come l'articolo
13 sulla libertà personale, l'articolo 14 sull'inviolabilità
del domicilio, l'articolo 15 sulla inviolabilità della corrispondenza
e l'articolo 21 sul diritto di libera manifestazione del proprio
pensiero. È indubbio, quindi, che lo stesso si collochi tra
i diritti fondamentali dell'individuo, ancorati alla Costituzione.
Il
diritto dell’individuo a manifestare il proprio pensiero deve
anche essere inteso come diritto di decidere e di scegliere
i soggetti destinatari delle nostre manifestazioni del pensiero
e come diritto di escludere i soggetti non graditi, dalle
nostre conversazioni. Conseguenza logica è che un diritto
di tal rango non può subire compressioni o limitazioni neanche
in caso di rapporto di coniugio e/o convivenza. In altre parole,
il matrimonio (a cui si deve equiparare una convivenza stabile,
come ormai pacificamente riconosciuto dall'unanime dottrina
e giurisprudenza) non vale ad escludere il rispetto della
privacy dei singoli coniugi; il diritto alla riservatezza,
in quanto diritto personalissimo, permane in capo a ciascuno
di essi.
Come
ha opportunamente rilevato la Cassazione, la disponibilità
del domicilio da parte di più soggetti non vale ad escludere
il diritto alla riservatezza di ciascun convivente (cfr. Cass.
Pen. 9827/06, in tema di reato ex art. 615 c.p.). Se il matrimonio
è unione materiale e spirituale, comunque ciascun coniuge
ha il diritto di conservare la propria privacy. Ciò premesso
dal punto di vista teorico, nella pratica, accade molto spesso
che un coniuge cerchi di precostituirsi elementi di prova
a carico del partner da usare nei giudizi di separazione e
di divorzio, oppure faccia uso di dati già costituiti (parliamo
quindi prove precostituite o costituende). La questione assume
contorni problematici quando tali elementi probatori siano
stati ottenuti o comunque trattati in violazione della normativa
sulla privacy.
Il
testo di riferimento è il Decreto Legislativo 196/2003 (cd.
Testo Unico Privacy). Per trattamento di un dato personale,
intendiamo sia l’acquisizione sia la rivelazione del dato
a terzi sia la diffusione dello stesso. Per integrare una
condotta di “trattamento dati” di cui al D. Lgs. Cit. è sufficiente
anche la mera diffusione dei dati (cfr. art. 4 T.U. Cit.),
da intendersi anche come produzione degli stessi in giudizio.
Pertanto, anche tale condotta, laddove effettuata in spregio
alle norme del Testo Unico citato, potrebbe integrare una
condotta punibile. Quindi, ben potrebbe considerarsi responsabile
il coniuge che diffonda dati personali del consorte (producendoli
in giudizio) in violazione delle norme di cui al D. Lgs. 196/03,
se dal fatto deriva nocumento per il soggetto passivo (cfr.,
in particolare, art. 167 D. Lgs. Cit.).
A
questo punto è necessario, un accenno agli steps da seguire
per trattare i dati “lecitamente”, laddove si vogliano poi
usare in ambito giudiziario. In relazione ai dati personali,
l'art. 13 T. U. Privacy introduce una deroga all'obbligo di
preventiva informativa all'interessato, prevedendo l'esonero
dalla stessa quando i dati personali devono essere trattati
“per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria,
sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità
e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”.
In questo caso, quindi, venendo in considerazione un diritto
anch'esso costituzionale, il diritto di difesa, e di pari
rango rispetto al diritto alla privacy, il legislatore ammette
una compressione di quest'ultimo, purché l'esplicazione del
diritto di difesa sia effettuata secondo correttezza.
In
particolare, si richiede che:
-
i dati oggetto del trattamento siano esatti, da intendersi
come precisi e rispondenti al vero; stessi completi, e cioè
tali fornire esatte informazioni, senza estrapolare solo
i contenuti utili per una parte;
-
l'uso degli stessi sia pertinente non eccedente, strettamente
necessario e non sproporzionato in relazione al diritto
che si intende far valere in giudizio;
- il
trattamento avvenga per il tempo strettamente necessario
per fare valere il diritto in giudizio;
-
il trattamento avvenga privilegiando quelli strumenti che
garantiscono la minore compromissione possibile della privacy
altrui; nel senso che, se lo stesso risultato può essere
raggiunto attraverso due differenti metodi di indagine,
deve essere privilegiata l’indagine che determina il minore
grado di compromissione dell’altrui riservatezza.
Normalmente i dati sensibili (e cioè i dati personali idonei
a rilevare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose,
filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione
a partiti, sindacati, associazioni o organizzazioni a carattere
religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati
personali idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale)
sono oggetto di una tutela rafforzata. Di fatti, per poter
trattare dati sensibili occorre, oltre al consenso dell'interessato
e all'informativa (come per i dati personali), anche l'autorizzazione
preventiva del Garante per la Protezione dati personali (art.
26 D. Lgs. 196/03).
IL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI IN AMBITO GIUDIZIARIO
L'art.
26 cit. prevede al comma 4 la possibilità di trattare dati
personali sensibili senza consenso dell'interessato (come
da autorizzazione preventiva del Garante della Privacy, la
n. 4/2009) “quando il trattamento è necessario per far valere
o difendere in sede giudiziaria un diritto , sempre che i
dati siano stati trattati esclusivamente per tali finalità
e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
Se i dati sono idonei a rilevare lo stato di salute e la vita
sessuale, il diritto deve essere di rango pari a quello dell'interessato,
ovvero consistere in un diritto della personalità o in un
altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”.
Ancora, l'articolo 60 T.U. Privacy, applicabile al caso di
dati sensibili idonei a rilevare lo stato di salute e la vita
sessuale contenuti in atti amministrativi, confermando la
rafforzata tutela riconosciuta ai dati sensibili, ribadisce
che, laddove manchi il consenso scritto dell'interessato,
è possibile richiedere l'accesso agli atti amministrativi
che contengono tali dati solo se “la situazione giuridicamente
rilevante che si intende tutelare è di rango almeno pari ai
diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della
personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e
inviolabile”. Anche per gli atti giudiziari non è richiesto
il consenso dell’interessato, quando il trattamento degli
stessi sia strettamente indispensabile per eseguire prestazioni
professionali richieste dai clienti per scopi determinati
e legittimi e nel rispetto del diritto alla difesa (aut. Gen.
7/2002). In
pratica, per le finalità sopra descritte non è necessario
né il consenso dell’interessato, né l’autorizzazione del Garante
per trattare dati semplici o sensibili relativi a terzi, ove
ciò sia necessario per far valere un diritto in giudizio e
sempre nel rispetto dei principi di verità, completezza dei
dati, pertinenza e non eccessività.
La
ratio di tali deroghe all’obbligo di rispetto della privacy
appare evidente: se devo compiere delle attività investigative
per acquisire delle prove da utilizzare nel corso di un giudizio
di separazione o di divorzio, se la controparte fosse informata
della mia intenzione da un lato cambierebbe il proprio comportamento,
proprio nella consapevolezza di essere stata attenzionata,
dall’altro negherebbe comunque il consenso al trattamento
dei suoi dati personali, ma soprattutto, tenterebbe di celare
e di rendere il più difficile possibile per la controparte,
la ricerca delle informazioni necessarie per far valere il
diritto.
Ricapitolando,
in
relazione al trattamento lecito di dati personali da usare
quali prove costituite o costituende; se trattasi di dati
personali occorre il consenso e l'informativa; si può procedere
senza informativa solo nelle ipotesi di cui all'articolo 13,
comma 5, lett. b) D. Lgs. 196/03; sensibili consenso, l'informativa
la previa autorizzazione del Garante; si può procedere senza
il consenso dell'interessato solo nell'ipotesi di cui all'articolo
26 D. Lgs. 196/03.
I
DATI PERSONALI TRATTATI IN VIOLAZIONE DEL DECRETO LEGISLATIVO
196/2003 Ciò premesso, a quale sorte vanno incontro i dati
trattati in violazione delle disposizioni su indicate? L'articolo
11 D. Lgs. 196/03 sancisce l'inutilizzabilità di tutti quei
dati trattati in violazione delle norme di cui al Decreto
citato. Tuttavia, in relazione alla possibilità di utilizzazione
di tali dati in ambito giudiziario, il legislatore ha introdotto
una disciplina particolare, contenuta nell'articolo 160, comma
6, T.U. Privacy, secondo cui “la validità, l'efficacia e l'utilizzabilità
di atti, documenti e provvedimenti nel procedimento giudiziario
basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni
di legge o di regolamento restano disciplinate dalle pertinenti
disposizioni processuali nella materia civile e penale”.
E'
evidente che l'intento del legislatore è stato quello di evitare
caducazioni automatiche di atti e documenti introdotti in
un processo, temperando la sanzione di cui all'articolo 11
D. Lgs. 196/03. Tuttavia, in materia penale la sanzione dell'inutilizzabilità
è confermata; di fatti, il rinvio è all'articolo 191 c.p.p.,
che sancisce l'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione
dei divieti stabiliti dalla legge (con le uniche eccezioni
di cui all'articolo 189 c.p.p. per le prove cd atipiche e
all'articolo 234 c.p.p. per le prove documentali). In materia
civile, invece, è difficile delineare una regola generale.
Si deve di fatti rilevare che, mentre in ambito penale è il
legislatore che ha disposto preventivamente la sanzione dell'inutilizzabilità
delle prove acquisite in violazione delle disposizione di
leggi, in ambito civile manca una regola di tal tipo.
La
valutazione circa l'ammissibilità delle prove è pertanto lasciata
al giudice, salvo che disposizioni speciali prevedano diversamente.
In altri termini, se nel processo penale si può affermare
con certezza che prove assunte violando la normativa Privacy
si debbano considerare inutilizzabili, nel processo civile
ciò non è disposto preventivamente dalla legge e l'inutilizzabilità
non è automatica conseguenza; sarà il giudice a dover valutare
circa la loro utilizzabilità, caso per caso e usufruendo del
potere discrezionale che gli è concesso dalla legge (art.
116 c.p.c.). Alcune categorie professionali, in particolare
gli avvocati, utilizzano dati di carattere personale per svolgere
attività investigative e difensive o comunque per far valere
un diritto in sede giudiziaria.
L’utilizzo
di questi dati è imprescindibile per garantire una tutela
piena ed effettiva dei diritti, con particolare riguardo al
diritto di difesa e al diritto alla prova: un’efficace tutela
di questi due diritti non è pregiudicata, ed anzi è rafforzata,
dal principio secondo cui il trattamento dei dati personali
deve rispettare i diritti, le libertà fondamentali e la dignità
delle persone interessate, con particolare riferimento alla
riservatezza, all’identità personale e alla protezione dei
dati personali. E’ opportuno analizzare nello specifico, la
portata e l’estensione del diritto di difesa di rango costituzionale
che legittima la compromissione della privacy altrui; è doveroso
altresì sottolineare che, per diritto di difesa non si intende
solo la difesa da un accusa di un terzo (possa trattarsi della
magistratura inquirente o della controparte), ma anche il
diritto di agire in giudizio, quindi di far valere un giudizio
nei confronti di un terzo (come attore o ricorrente).
continua
domani con "Le indagini patrimoniali e
l'attività investigativa di parte"
*
Presidente Nazionale del Centro Studi e
Ricerche Diritto della Famiglia e dei Minori
Dossier
diritti
|
|