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                    In 
                    re Troy Anthony Davis 
                    di 
                    Claudio Giusti* 
                  23 
                    agosto 1927 Il Massachusetts uccide Sacco e Vanzetti 
                   
                    E’ difficile non farsi coinvolgere emotivamente dalla ventennale 
                    saga giudiziaria di Troy Davis e impossibile non essere sedotti 
                    dalla sua avvincente trama, in particolare ora che la Corte 
                    Suprema è entrata nella vicenda con un clamoroso coup de théâtre. 
                   
                    Lunedì 17 agosto la suprema corte americana ha interrotto 
                    il suo lungo riposo estivo e, prendendo il considerazione 
                    per la prima volta in mezzo secolo un appello diretto (original 
                    writ of habeas corpus), ha ordinato alla Corte Distrettuale 
                    Federale della Georgia del sud di tenere una evidentiary hearing 
                    allo scopo di verificare le attestazioni d’innocenza di Davis. 
                    La notizia è esplosa come una bomba sui media americani e 
                    noi Scotus maniaci non stiamo nella pelle all’idea della quantità 
                    di dotti articoli che produrrà la sentenza ”In re Troy Anthony 
                    Davis”. Roba 
                    da trasformare Kennedy v Louisiana in un gioco da bambini 
                    visto che la questione giudiziaria va ben al di là della sorte 
                    di Davis e coinvolge trent’anni di consolidata giurisprudenza 
                    americana.  
                  Trent’anni 
                    nei quali le Corti Supreme Statali, e soprattutto quella federale, 
                    hanno introdotto una quantità di strumenti legali atti a impedire 
                    ai condannati a morte di sfruttare più di tanto le possibilità 
                    di appello. Per 
                    non parlare poi del presidente Clinton che, in combutta col 
                    Congresso e con la scusa del terrorismo, ha prodotto (1996) 
                    quell’oscenità giudiziaria dell’Antiterrorism and Effective 
                    Death Penalty Act. Abuse of the writ, actual innocence, AEDPA, 
                    audita querela, cause and prejudice, finality, harmless errors, 
                    new rule, newly discovered evidence, non retroactivity, plain 
                    error doctrine, procedural default, Teague vs Lane: l’appello 
                    capitale americano è diventato un campo minato in cui solo 
                    un numero esiguo di giuristi è in grado di orientarsi. 
                   
                    Troy Davis è da un pezzo arrivato alla fine del percorso ed 
                    è un miracolo che non sia stato ucciso tempo fa. Ben vengano 
                    quindi le ardite chicanery della Scotus e le sue rotture dello 
                    stare decisis, anche se la situazione è senza sbocco: perché 
                    se Davis è innocente, ma non lo può dimostrare, l’ammazzano 
                    e, nel caso sia innocente, perché non l’ha dimostrato a tempo 
                    debito? E così l’ammazzano lo stesso. Ma la Corte Suprema, 
                    nonostante Anthony Scalia (nota), è terrificata dall’idea 
                    di avere un non colpevole sul patibolo ed è alla ricerca di 
                    una via d’uscita nel ginepraio giuridico da lei stessa prodotto. 
                    Per 
                    ironia della sorte Troy Anthony Davis è stato relativamente 
                    fortunato nel ricevere la condanna a morte: perché, se avesse 
                    avuto l’ergastolo, ora starebbe con gli altri 140.000 lifers 
                    in mezzo ai duemilionicinquecentomila che affollano l’American 
                    Gulag e nessuno avrebbe mai sentito parlare di lui.  
                  Però. 
                    In tutto questo, cosa ci facciamo noi abolizionisti? Non siamo 
                    certamente noi a doverci preoccupare dell’actual innocence 
                    di Davis e l’idea di una persona non colpevole avviata al 
                    patibolo dovrebbe togliere il sonno ai forcaioli e non certamente 
                    a chi la pena capitale la vuole eliminare. Capisco l’emozione 
                    e la passione degli abolizionisti americani, ma questa campagna 
                    mi lascia perplesso; forse perché sono solito occuparmi di 
                    colpevoli e, nei due anni in cui Troy ha monopolizzato l’interesse, 
                    il boia americano non si è certo risparmiato e fra le sue 
                    vittime non sono state poche quelle che hanno protestato, 
                    fino all’ultimo respiro, la propria innocenza. Io sono un 
                    vecchio cattivo e cinico e per me nel braccio della morte 
                    non ci sono innocenti, ma persone da salvare in nome della 
                    giustizia, dell’umanità e dell’equità. 
                   
                    Inoltre il caso di Troy Davis ripropone, in forma leggermente 
                    diversa, il “Paradosso Bernabei”: Le nuove udienze non modificano 
                    la sentenza e Troy viene ucciso in serena coscienza. Oppure 
                    è riconosciuto non colpevole e lo liberano affermando che 
                    il sistema ha funzionato e ammazzano tranquillamente gli altri 
                    condannati perché questi sono colpevoli. Oppure il Board of 
                    Pardons si convince della sua possibile innocenza e concede 
                    la grazia, intanto che gli altri sono uccisi perché nessuno 
                    si è mosso per loro.  
                  Comunque 
                    è oramai evidente che gli stati americani aboliranno la pena 
                    capitale per i motivi sbagliati (costo, innocenti, ecc.) e 
                    che ci dobbiamo adattare, ma per noi abolizionisti questa 
                    è una partita pericolosa e dobbiamo sapere come giocarla. 
                    Dobbiamo avere ben chiari e saldi i nostri principi morali 
                    ed essere estremamente preparati sui duri fatti dell’applicazione 
                    della pena di morte che sono, sia ben chiaro, sempre a nostro 
                    favore. Se così poi forniamo all’opinione pubblica statunitense 
                    delle buone ragioni pratiche per l’abolizione non c’è nulla 
                    di male.  
                   
                    Nota: Il giudice Scalia ha scritto nella sua 
                    dissenting opinion che la corte di cui fa parte non ha mai 
                    affermato che l’uccisione di un innocente è incostituzionale. 
                    “This court has never held that the Constitution forbids the 
                    execution of a convicted defendant who has had a full and 
                    fair trial but is later able to convince a habeas court that 
                    he is ‘actually’ innocent. Quite to the contrary, we have 
                    repeatedly left that question unresolved, while expressing 
                    considerable doubt that any claim based on alleged ‘actual 
                    innocence’ is constitutionally cognizable.” (1 
                    , 2). 
                     
                  *membro 
                    del Comitato scientifico dell'Osservatorio 
                     
                   
                    Corte 
                    Suprema da' una chance di vita a Troy Davis  
                  Glossario 
                    giuridico USA 
                  Dossier 
                    giustizia USA 
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