05 maggio 2007

 
     

Infedelta' patrimoniale : il reato , le sanzioni , la prescrizione
dell'avv. Giovanni G. Ladisi

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3. L'elemento soggettivo del reato. Il momento soggettivo del reato di "infedeltà patrimoniale" si articola in un dolo per un verso specifico ("al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio") e per l'altro verso intenzionale (con riferimento al danno patrimoniale, da causare "intenzionalmente"). Quanto al dolo specifico si può notare come tale formulazione sia stata utilizzata dal legislatore con l'intento di ridurre l'ambito di operatività della fattispecie26. Infatti, sembra difficile prevedere contesti in cui l'agente sia consapevole di agire in conflitto di interessi con la società ed al tempo stesso abbia l'intenzione di danneggiare l'altrui situazione patrimoniale, ma non intenda trarre, per sé o per altri, un vantaggio qualificabile come ingiusto.

A proposito dell'inciso "fine di ingiusto profitto" per la dottrina prevalente si tratta di una qualsiasi soddisfazione, piacere o vantaggio, patrimoniale o non (così come confermato dalla stessa norma), non consentito dall'ordinamento, sebbene il soggetto attivo del reato decida di compierlo. E' necessario inoltre precisare che la qualifica di "ingiusto" è limitata al profitto e non al vantaggio, perché chi avesse voluto estenderla anche a quest'ultimo avrebbe usato una differente formula come per esempio, "profitto e vantaggio ingiusti". Quindi, sulla base di ciò, l'attuale legislatore ha inserito il requisito del "profitto ingiusto", in quanto, da un lato, ha voluto dare rilevanza solo all'ingiusto profitto patrimoniale, che non potrebbe mai essere consentito all'amministratore infedele, e dall'altro ha considerato anche vantaggi non patrimoniali - quali per esempio: l'acquisto di una posizione politica, di una onorificenza, o di una qualifica soltanto onoraria, ma prestigiosa - che di per sé non sono illegittimi, ma destinati a diventare tali solo se accompagnati dall'intenzione di arrecare un pregiudizio patrimoniale alla società. In sostanza l'aggiunta "altro vantaggio" che porta ad un ampliamento della norma rispetto alla corrispondente formulazione del precedente progetto Mirone, consente in questo modo la punibilità anche di quelle condotte degli amministratori che siano sorrette da una finalità non di arricchimento patrimoniale ma di altro genere.

Così l'equiparazione in questione tra "l'ingiusto profitto e l'altro vantaggio", per parte della dottrina, potrebbe compromette il carattere esclusivamente patrimoniale dell'offesa che caratterizza il reato in esame, in quanto essa mostra che, al di là del danno patrimoniale intenzionalmente cagionato alla società, l'effettivo oggetto di tutela diviene il dovere oggettivo di correttezza, il quale non deve indurre l'amministratore a strumentalizzare l'ufficio al fine di soddisfare i suoi bisogni privati ed estranei all'oggetto sociale. In ordine all'altro polo dell'elemento soggettivo cioè "l'intenzionalità del danno patrimoniale", che mancava nel precedente testo Mirone, l'attuale legislatore aggiungendo l'avverbio "intenzionalmente" ha ristretto notevolmente i confini di rilevanza penale della fattispecie incriminatrice, poiché, la volontà dell'autore del delitto deve essere diretta soprattutto alla realizzazione del danno patrimoniale alla società e non solamente all'accettazione del rischio del possibile verificarsi del danno (dolo eventuale).

E' evidente allora che, il requisito in questione "rischia seriamente di paralizzare l'applicazione della fattispecie", visto che l'attuale norma richiede un intento "emulatorio", che raramente potrà caratterizzare la condotta dell'amministratore, il quale pure quando abusa dei propri poteri, non lo fa sempre allo scopo di danneggiare la società. Non sembra inoltre che, tale lettura dell'avverbio "intenzionalmente" si prospetti come inevitabile, anche se sembra essere dominante nell'ambito della giurisprudenza relativa alla fattispecie di abuso di ufficio, dalla quale il concetto di dolo intenzionale trae origine soprattutto a seguito della riforma del 199727.

4. Il rapporto esistente tra la fattispecie di infedeltà patrimoniale ed i "beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi". Nel secondo comma dell'art. 2634 c.c. l' ambito applicativo della fattispecie d'infedeltà patrimoniale si estende anche ai fatti commessi in relazione ai beni posseduti o amministrati dalla società per conto terzi, causando a quest'ultimi un danno patrimoniale. Questa autonoma fattispecie di infedeltà patrimoniale si caratterizza, rispetto a quella considerata dal primo comma, per il fatto che la condotta tipica ha ad oggetto anziché "beni sociali", "beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi", al fine di assicurare una protezione anche ai c.d. patrimoni gestiti, i quali risultano essere molto spesso esposti ad atti di mala gestio. In tal modo la tutela viene estesa a tutti i beni amministrati tramite lo strumento societario, indipendentemente dal fatto che si tratti di beni appartenenti alla stessa società o a terzi. Questa identità di condotte d'infedeltà descritte dalla norma non sussiste invece con riguardo all'elemento soggettivo del reato, in quanto il legislatore, omettendo il riferimento all'intenzione di causare un danno patrimoniale ai terzi, consente la sopravvivenza del dolo eventuale a differenza della fattispecie di infedeltà prevista dal primo comma dell'art. 2634 c.c. in cui essa era esclusa.

Ma la mancanza del requisito dell'intenzionalità è contestabile in quanto, da un lato contrasta innanzitutto con identico regime sanzionatorio previsto dalla norma in entrambe le ipotesi d'infedeltà e dall'altro, crea una diversità sul piano dei valori tutelati, poiché i requisiti soggettivi sono più rigorosi quando il danno è cagionato alla società stessa rispetto a quelli richiesti quando i beni, anche se gestiti dalla società, fanno capo ai terzi.

6. Le sanzioni e la prescrizione del reato. Nell'attuale fattispecie d'infedeltà patrimoniale disciplinata dall'art. 2634 c.c. la pena prevista è della reclusione da sei mesi a tre anni, ipotesi questa, che prevede l'effettivo abbandono della pena pecuniaria che caratterizzava la previgente disciplina del conflitto d'interessi (art. 2631 c.c.). Tale previsione edittale rientra tra le più gravi misure sanzionatorie introdotte nel nuovo sistema dei reati societari, consentendo di riconoscere un ruolo fondamentale al nuovo delitto posto a tutela del patrimonio sociale. In realtà, la ragione di un trattamento comunque di scarsa severità, sulla base della regola della proporzione tra fatto vietato e pena, non sembra in verità così convincente e chiara soprattutto per il condizionamento derivante dalla necessità della querela, rispetto ad una fattispecie che oltre a essere considerata come un'ipotesi criminosa del tutto nuova, può influire anche su questioni particolarmente difficili ed importanti della vita societaria e può altresì essere produttrice di conseguenze economiche pregiudizievoli per la società28.

Ma per compensare a questo scarso trattamento sanzionatorio, il legislatore ha aggiunto che, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, sia disposta la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo. Se però l'individuazione o l'apprensione dei beni non è possibile, la confisca avrà per oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente. Inoltre per quanto non stabilito si applicano le disposizioni dell'art. 240 c.p. Tra i principali effetti della riforma c'è anche una drastica riduzione dei termini di prescrizione dei reati societari che riguarda pure la neonata fattispecie d'infedeltà patrimoniale. Infatti, posto che per gli illeciti penali la nuova disciplina prevede pene massime mai superiori ai cinque anni, si segnala che, ai sensi degli artt. 157 e 160 del codice penale, tutti i reati (ivi incluso anche il "chiacchierato" falso in bilancio) si prescrivono entro cinque anni dalla data in cui il fatto è stato commesso, data che poi è estendibile fino ad un massimo di sette anni e sei mesi nel caso in cui si verifichino cause di interruzione della prescrizione. Tali termini, in quanto più favorevoli agli imputati, operano anche con riferimento ai procedimenti già in corso alla data del 16 aprile 2002, coincidente con il giorno stesso dell'entrata in vigore del decreto29.

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26 Relazione al progetto di legge Mirone 1999 27 Tra le pronunzie più recenti cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 1.6.00, Spitella, in Cass. pen., 2001, p. 2681. Con questa decisione relativa al reato di abuso d'ufficio nella formulazione dell'art. 323 c.p. introdotta dall'art. 1 della legge del 16 luglio 1997, n. 234, il legislatore, secondo la Cassazione, usando l'avverbio "intenzionalmente" ha negato rilevanza penale alle condotte poste in essere con dolo eventuale, ma anche con dolo cosiddetto diretto, che ricorre quando il soggetto si rappresenti la realizzazione dell'evento come altamente probabile o anche come certa, ma la volontà non sia diretta al compimento di quel fine. Da ciò ne consegue che, affinché una condotta possa essere addebitata all agente a titolo di abuso di ufficio, è necessario che l'evento sia conseguenza immediatamente perseguita dal soggetto attivo.
28 V. Chiusano, Gli illeciti penali, in Convegno la riforma del diritto societario, Torino, 29 ottobre 2001, Torino, Eutekne 2001, p. 125.
29 Enrico Zanetti, La riforma dei reati societari, in portaleaziende.

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