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Un angelo di nome Giovanna
di
Rinaldo Battaglia *
Bertolt Brecht diceva che «la guerra è solamente un traffico: invece di formaggio, piombo».
Parole sante. Avrei molti casi da ricordarvi. E i protagonisti non sono fascisti vestiti da criminali, ma meglio criminali vestiti da fascisti, in quanto è solo un gioco di abbigliamento, di maschere da carnevale.
Erano vestiti da fascisti perché siamo nel Nord Italia, ma se fossero stati in quegli anni a Mosca sarebbero stati convinti comunisti, a Berlino ferventi nazisti, se fossero stati a Belgrado dei titini determinati e capaci di infoibare anche tutta Trieste, porto e Cattedrale di San Giusto compresi, se non ci fosse da piangere anziché buttarsi sulla facile ironia.
Mi riferisco per esempio all’eccidio dell’Albergo Vittoria a Grimaldi, vicino a Ventimiglia, del 7 dicembre ‘44, in cui vennero massacrate tre famiglie (i Chiodin, i Pallanca/Planch e i Lorenzi): 5 donne, 4 uomini e 3 bambini, Giovanna Trovato e Rosalba Palanca di 2 anni e, il fratellino di quest’ultima, Vincenzo di 4 anni. La madre di Giovanna, Antonia Planch, era in attesa del secondo figlio.
Tutto partì, come sentenziato nel processo presso la Corte di Assise di Sanremo del 12 febbraio ‘46 e successiva del Tribunale Militare di Torino del 15 maggio 2000 , da una sbronza che Karl, un semplice soldato tedesco, si fece in un’osteria il giorno successivo alla strage. E più beveva, più si ubriacava e più sparlava.
Si capì che beveva per dimenticare, per aver dovuto uccidere per ordini diretti del suo maggiore – Hans Geiger – anche una bambina di 2 anni «bella e bionda che sembrava un angelo», mentre un altro camerata ammazzava un altro angelo biondo «che nessuno aveva il coraggio di trucidare».
Karl al processo non riuscì mai a testimoniare o difendersi (e ad esser anche meglio identificato), in quanto sembra fosse stato a sua volta ucciso qualche giorno dopo dai suoi stessi commilitoni, forse – chissà – per ordine del Maggiore Geiger o del diretto superiore della Werhmacht, Heinrich Goering, di allora solo 21 anni.
L’inchiesta provò che il fulcro dell’eccidio fosse un delatore fascista della frazione di Grimaldi, Egidio Eugeni, uno dei tanti che col fascismo del Duce era nato, cresciuto, ingrassato. Eugeni venne in questo caso pagato dalle S.S. per consegnare nomi di partigiani da eliminare. Solo che passava anche nomi di altri compaesani, che con la lotta partigiana nulla avevano a che vedere.
Erano nel caso specifico i nomi di possidenti del posto, la famiglia Lorenzi ad esempio, che in quel momento aveva incassato da una società assicurativa forse 100.000 lire, o la famiglia Pallanca, che gestiva l’hotel con buone entrate e dotata in quei giorni di una certa liquidità.
Fatto sta che dopo la morte di quelle famiglie il tenore di vita dell’Eugeni migliorò notevolmente.
Il Tribunale lo condannò all’ergastolo, ma morì solo qualche mese dopo, per cause naturali (19 marzo 1946). Chissà se accanto a San Pietro, nel giorno del giudizio eterno, vi fossero anche un angelo biondo di nome Giovanna quale parte lesa, pronto a chiedere se il prezzo della sua vita, e quella degli altri bambini, in quel business fosse stato equo.
Solo dopo la scoperta ‘dell’armadio della vergogna’ nel 1994, si arrivò anche a processare il maggiore Geiger e i suoi ufficiali, ma nella sentenza di Torino del 29 gennaio ‘97, non essendoci allora – dopo 53 anni – riscontri oggettivi sufficienti, vennero prosciolti. Troppo tardi, ancora una volta.
Sempre questione di tempo.
7 dicembre 2024 – 80 anni dopo
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
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