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La cicatrice del 6 dicembre
di
Rinaldo Battaglia *
“Poi d'improvviso
Il sole scomparve
Non sentiremo
La campanella suonare
Neppure un attimo
Per salutarsi
Colpiti alle spalle
Senza voltarsi……..
Ma tu vai a capire
Che ne so io delle Ande
Io che a malapena
Mi oriento in Piazza Grande
Ma stavolta problemi
Non ce ne sarà
Farò felice
Mamma e papà.…..
Ma il nostro tempo
Finisce qui
Alle 10 e 30
Di un giovedì
E non vedremo
Più il nostro domani
Per sempre giovani
Per sempre uguali
Eppure noi
Volevamo volare
C'è una materia
Che non si può insegnare
Fatta di attimi
Che fuggon tra le dita
In un libro bianco
Chiamato vita
Però il nostro tempo
Finisce qui
Il cielo è caduto
Di giovedì
E non vedremo
Più il nostro domani
Per sempre giovani
Per sempre uguali”.
Sono parole che rubo ad una canzone di Cisco (Stefano Bellotti) pubblicato dall'autore nel novembre del 2021, quale colonna sonora di un docu-film “Per sempre giovani,” del giornalista Stefano Ferrari (da cui il titolo anche della canzone).
Parla di una strage di ragazzi, di cui pochissimi - ancora oggi - ne sanno qualcosa e di cui - ancora meno - se ne è sentito parlare. È la strage del 6 dicembre 1990, quando un aereo da addestramento (un biposto a motore singolo Aermacchi MB-326) dell'Aeronautica Militare italiana fuori controllo e in avaria precipitò su una scuola di Casalecchio di Reno (la sede succursale dell'Istituto Tecnico Gaetano Salvemini, in Via del Fanciullo n° 6), uccidendo 12 giovani studenti e ferendone altri 88. Per 11 ragazze e un ragazzo della classe 2ª A, tutti tra i 14 ed i 15 anni di età, il tempo finì quel giorno, alle ore 10 e 33.
L’aereo, partito da Villafranca, era stato abbandonato in volo dal pilota, il sottotenente Bruno Viviani che si era paracadutato, rimanendone peraltro ferito. Non era riuscito a gestire l’avaria. Verrà assieme altri due ufficiali dell'Aeronautica Militare (il colonnello Eugenio Brega, comandante del 3º Stormo, e per il tenente colonnello Roberto Corsini, ufficiale della torre di controllo dell'aeroporto di Verona-Villafranca) condannato per omicidio colposo plurimo (febbraio 1995), ma poi in appello (Bologna, 22 gennaio 1997) e definitivamente in cassazione sarà a pieno titolo assolto (Roma, 26 gennaio 1998). Come gli altri due.
Quell’aereo, in servizio da ben oltre 30 anni, era uno degli ultimi modelli rimasti operativi e comunque assegnati soprattutto a ruoli di supporto, traino di bersagli e collegamento, mentre per l'addestramento dei piloti da tempo si impiegavano modelli più moderni, sicuri ed efficienti (come l’Aermacchi MB-339).
Il pilota, l’unico unico membro dell'equipaggio, sebbene di giovane età (24 anni) vantava ben 740 ore di volo di esperienza, di cui 140 sull'MB-326, come subito riportarono alcuni giornali (come ‘La Stampa’ del 7 dicembre 1990). La missione a cui era stato incaricato consisteva in un semplice sorvolo nella zona di Borgoforte e poi virare verso Rovigo.
Le indagini riscontreranno che alle 10:22 il motore del velivolo evidenziò seri problemi tecnici, tanto ad obbligare il pilota a fermare la missione e a cercare un punto di atterraggio. Ma sfortuna volle che l'aeroporto più vicino (Ferrara) non fosse dotato di una pista di lunghezza sufficiente; quindi, si decise di dirigersi verso l'aeroporto di Bologna, a 40 km scarsi. Il pilota contattò immediatamente la torre di controllo, spiegando la situazione e chiedendo autorizzazione a atterrare sulla pista 30, la più idonea e vicina. Le cose però precipitarono: alle 10:31 comunicò via radio che il motore aveva smesso di funzionare e che era in fiamme. L’aereo non rispondeva più a nessun comando.
Fu così costretto a lanciarsi col seggiolino eiettabile, come da protocollo, atterrando col paracadute sulle colline di Ceretolo, una frazione di Casalecchio. Si fratturerà tre vertebre. Ci furono più testimoni che videro tutto questo e, persino, un operatore della TV locale Rete 7 che – riprendendo delle scene sulla città di Bologna - casualmente vide l'aeroplano in difficoltà e lo inquadrò con la telecamera.
Poi la tragedia: l’aereo, senza più nessuno a bordo e totalmente fuori controllo, andò a schiantarsi contro l'edificio che ospitava quella scuola, con presenti allora 317 persone. Di questi, 285 erano giovani studenti. Nell’aula colpita, quella della 2 A, si trovavano 16 alunni. Solo 4 si salvarono, oltre all’insegnante, la docente di tedesco Cristina Germani: tutti gravemente feriti. Una ragazza, Federica Tacconi, rimasta intrappolata sotto un'ala del velivolo, venne salvata dai vigili del fuoco solo dopo che tutte le altre persone all'interno dell'edificio erano state evacuate. Trovò la forza di gridare più forte che mai e invocare aiuto, in quell’inferno di fuoco.
Perché – come scriveranno Luciano Pedrelli e Luigi Spezia in ‘La Repubblica’ del 7 dicembre 1990 -
“Il cherosene presente nei serbatoi dell'MB-326 fuoriuscì e prese fuoco. Il motore, la parte più massiccia dell'aereo, colpì e sfondò il muro posteriore dell'aula, finendo nell'atrio della scuola. Le fiamme e il fumo si propagarono per l'edificio, intrappolando diverse persone al piano superiore. I primi soccorsi furono forniti da passanti e residenti della zona, che aiutarono vari sopravvissuti a calarsi dalle finestre dell'istituto. In breve tempo, squadre di vigili del fuoco e ambulanze coordinate dal servizio Bologna Soccorso arrivarono sulla scena del disastro; le fiamme furono spente ed i feriti evacuati nel giro di due ore”.
Dell'inchiesta si occupò la Procura della Repubblica di Bologna. L'accusa sin da subito sostenne la tesi che il pilota, non appena constatata l'avaria al motore nei pressi di Ferrara, avrebbe dovuto portare l'aereo verso il mare Adriatico, per poi ‘eiettarsi’, invece di cercare di dirigersi vicino a una zona densamente popolata come Bologna. Secondo la procura, gli altri due ufficiali – che durante il volo erano in contatto radio col pilota da Villafranca – gli avrebbero fornito addirittura istruzioni sbagliate sul da farsi.
“I tre militari vennero difesi dall'Avvocatura dello Stato, fatto che suscitò polemiche perché, sebbene le vittime si trovassero all'interno di una scuola anch'essa di proprietà dello Stato, il Ministero della pubblica istruzione non poté ottenere il medesimo patrocinio”. Così scrisse il grande giornalista Enrico Deaglio, in «La nostra strage cancellata», su La Stampa, del 5 dicembre 1993.
Alla fine, quando nel 1998 la 4ª Sezione della Corte di cassazione di Roma rigettò gli ultimi ricorsi dei familiari delle vittime e confermò l'assoluzione per tutte le parti coinvolte, la strage di Casalecchio venne, nei fatti, attribuita a una tragica fatalità. Sempre colpa del destino. Che poi si usassero nell'Aeronautica Militare velivoli consumati da 30 anni di servizio, passò in un secondo piano. Era il 1990 si poteva pretendere di più? Erano passati dieci anni da Ustica senza capirne nulla, figuriamoci ora! Ora che risultava un ‘affare’ solo interno.
L’edificio oggetto della strage rimase chiuso fino al 2001: dopo non fu usato come scuola, difficile pensare che qualcuno inizialmente li mandasse i propri figli dentro quelle aule, solo per rispetto al dolore di quelle famiglie. Divenne così la “Casa della Solidarietà Alexander Dubček", ospitando varie associazioni di volontariato – tra cui la stessa Associazione Vittime del Salvemini – e il nucleo locale della Protezione Civile.
L’aula della 2ª A divenne ‘l'Aula della Memoria’: “lo squarcio nella parete esterna fu mantenuto, chiuso solo da una vetrata, e vi fu installata una scultura raffigurante dodici gabbiani stilizzati in volo verso il cielo, a simboleggiare le dodici vittime della tragedia” come scrissero più giornali.
Solo nel settembre 2020, a causa della pandemia e della conseguente necessità di nuovi spazi aggiuntivi per l'attività didattica, l’edificio ritornò ad essere utilizzato come scuola, a 30 anni dalla tragedia. Ma solo utilizzando poche aule e pochi studenti (massimo 120).
La strage di Casalecchio restò sempre comunque un punto oscuro, una cicatrice mai ben chiusa e forse per molti ancora oggi sanguinante. Si deve sapere nel 2001, RAI 1 realizzò un film (L'uomo del vento) - la cui trama parlava di altro - dove però molte scene richiamavano quanto avvenuto in quel 6 dicembre 1990. Il responsabile della produzione fu costretto più volte a negarne i legami, anche se la responsabile della produzione, Gabriella Bontempo, non ha mai smentito una sua libera “rielaborazione dei fatti avvenuti undici anni prima” (da un articolo, col titolo significativo: “Un caccia, una scuola, una strage. In tv. Una fiction Raiuno evocherà Casalecchio. Il pilota sarà un eroe triste e la storia sarà tradita”, di Silvia Garambois su l'Unità il 6 settembre 2001).
La cicatrice di quel 6 dicembre non si è mai chiusa, nonostante il silenzio che da sempre la circonda e il silenzio in cui è stata posta, anche dalla politica e dai media. Ogni tanto qualcuno ne parla, ma sembra che questo rompi solo le scatole. Eppure, parliamo della morte di 12 ragazzi, che oggi avrebbero 47/48, che sarebbero donne e uomini maturi, sposati, madri o padri di famiglia, qualcuno di loro magari già nonno.
Ogni tanto qualcuno ne parla, come nel 2006 quando Giuliano Bugani ha raccolto in un libro con DVD la storia e le testimonianze dei superstiti di quel giorno maledetto (“I Ragazzi del Salvemini - Casalecchio di Reno). O come nel film del 2021 di Stefano Ferrari. O più di recente una ‘graphic novel’ con autore ancora Stefano Ferrari e con le illustrazioni di Matteo Matteucci dal titolo molto indicativo:” Per sempre giovani. Salvemini 1990: una strage senza colpevoli”.
La cicatrice di quel 6 dicembre rimane aperta da 34 anni. Solo Dio conosce le cause di quelle vite perdute tra i banchi di scuola. A noi, comuni uomini di strada, resta da chiedersi se valesse la pena che quell’aereo di 30 anni volasse ancora e soprattutto se quell’unico motore fosse in grado di farlo. La magistratura ovviamente ha negato alcuna responsabilità, ma il dolore permane immenso. Che quelle vite perdute siano almeno un ‘precedente’ per evitare futuri casi analoghi o similari e che il tempo di altre persone non finisca mai più così.
“Però il nostro tempo
Finisce qui
Il cielo è caduto
Di giovedì
E non vedremo
Più il nostro domani
Per sempre giovani
Per sempre uguali”.
6 dicembre 2024 – 34 anni dopo - Rinaldo Battaglia
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
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