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Nilde Iotti, onorevole davvero, non come oggi...
di
Armando Reggio
25 anni fa moriva la signora della Repubblica, onorevole anche per essersi dimessa perché ammalata, 26 giorni prima.
“Ma sono donne anche loro!”, sorrise a un compagno della guardia del corpo. Era appena stata eletta Presidente della Camera, nel 1979, prima donna sullo scranno più alto di Montecitorio.
Si trovava a Vicenza per una visita ufficiale.
Ma Nilde Iotti aveva l’umano vezzo di riservare a sé una pur breve trasgressione al protocollo: così, mentre visitava una mostra, venne riconosciuta da alcune suorine, che esultarono: “E lei…è lei”.
E lei le abbracciò.
Lottò, sin dai tempi della Resistenza, quando fu staffetta partigiana, per la parità fra uomini e donne.
Teneva per l’emancipazione femminile, non per la “liberazione”, com’era per le femministe.
Ha così smentito il pregiudizio degli avversari del PCI: si batteva per i suoi ideali di giustizia civile e sociale, non per la supremazia vendicativa.
Lo affermò sin da quando fu membro della “Commissione dei 75”, per la bozza della Costituzione, che sarebbe stata poi discussa e approvata in Aula.
La discussione verteva sull’accesso delle donnee nella magistratura.
Il democristiano Giovanni Leone dichiarò: “Già l’allargamento del suffragio elettorale alle donne costituisce un primo passo (…) ma la loro partecipazione illimitata alla funzione giudiziaria non è per ora da ammettersi. Magari sia ammessa al tribunale dei minorenni: sarebbe per esse una ottima collocazione. Ma negli alti gradi della magistratura, dove bisogna arrivare alla rarefazione del tecnicismo, è da ritenere che solo gli uomini possano mantenere quell’equilibrio di preparazione che più corrisponde per tradizione a queste funzioni”...il futuro e discusso Presidente della Repubblica!
Gli fece eco un altro scudocrociato, Giuseppe Codacci Pisanelli: “No, è una questione di resistenza fisica, le donne si stancano di più". Giusto per esser chiari!
Ma Nilde Iotti non tacque e replicò:
“Motivi stupefacenti! Se una donna ha la capacità di arrivarci, e sono convinta che ce l’abbia, essa deve poter conquistare, al pari dell’uomo, i più alti gradi della magistratura, senza alcun discrimine”. E ammonì: “Attenzione: abbiamo appena approvato nella prima parte della Costituzione una norma-chiave: che tutti i cittadini non solo sono uguali ma che tutti, donne e uomini, possono accedere a tutte le cariche pubbliche”.
Ineccepibile e del massimo coraggio.
L’emiliana ebbe onorevolmente la meglio:
l’Aula approvò il principio del pieno e libero accesso delle donne in magistratura.
Ma le resistenze culturali rimasero, nell’Italia del dopoguerra ancora attardata nella concezione patriarcale della società: e così solo nel 1963 le donne cominceranno a ricoprire cariche nella magistratura e nella diplomazia.
Nilde Iotti, coadiuvata dal fine e stimato giurista Ugo Spagnoli, fu poi promotrice della prima riscrittura organica del “nuovo” diritto di famiglia”, che riformò quello discriminatorio del 1942 voluto dal fascismo, che, peraltro, aveva un impianto palesemente anticostituzionale: “il riconoscimento della parità giuridica dei coniugi, l’abrogazione dell’istituto della dote, il riconoscimento ai figli naturali della stessa tutela prevista per i figli legittimi, l’istituzione della comunione dei beni come regime patrimoniale legale della famiglia in mancanza di diversa convenzione, la sostituzione della patria potestà con la potestà di entrambi i genitori” ne sono solo i tratti più salienti e – diciamolo - rivoluzionari.
La nostra lavorò all’emancipazione legislativa delle donne non certo da sola: con lei ostinatamente si batterono Adriana Seroni, Marisa Rodano, Livia Turco, fra le compagne del PCI.
Pensiamo al divorzio e all’aborto, che esse strenuamente difesero dall’offensiva controriformistica dei referendum promossi e clamorosamente persi dalla destra sostenuta dalla Chiesa.
Nilde dové difendere quelle leggi anche dalle stesse riserve di non pochi dirigenti di Botteghe Oscure, giungendo pure ad aspri contrasti.
Al PCI erano in verità anacronisticamente prudenti: non contestavano il merito, ma ne temevano i risvolti politici, gli snaturamenti parlamentari, e le probabili sconfitte referendarie.
Ma i fatti li smentirono, dando ragione alla Iotti e alle sue compagne: i due referendum furono ampiamente vinti dai riformisti.
Il pregiudizio, per cui “Gli Italiani non erano pronti” venne fieramente sbugiardato.
Ricorda, infatti, Luciano Barca nelle sue ‘Cronache’: “Nilde fu la prima firmataria per il Pci della proposta per l’introduzione del divorzio presentata da tutte le forze laiche, con il pieno accordo di Longo, allora segretario del Pci. Ma pochi oggi ne ricordano il coraggio politico, la forza, l’apertura ai giovani del Sessantotto, la civiltà e la modestia, anche con “il mal di pancia di alcuni” della direzione”.
Quanto al referendum contro l’abolizione della legge sull’aborto dell’80, il no vinse con più del 68%.
Lo stesso segrerario Enrico Berlinguer e altri membri della direzione erano stati molto preoccupati per il suo esito, soprattutto nel Mezzogiorno, dove invece il no all’abolizione dell’aborto si affermò largamente anche e proprio per la scelta delle donne, che vivevano sulla propria pelle l'improvvisata e rischiosa pratica delle pratiche abortive delle mammane.
Ma a differenza di altri compagni, il leale Enrico riconobbe immediatamente i meriti, le ragioni e il fiuto di Nilde,
Dicono che, incontrandola l’indomani del risultato referendario nell'ascensore del “Bottegone” riservato ai dirigenti, le sorrise, si congratulò e le strinse la mano con un calore insolito per lui, apparentemente sempre così sorvegliato.
“Un inedito Berlinguer” ricorderà Nilde con nostalgia di quel momento.
Ancora sul divorzio, fu la Presidente della Camera a volere e ottenere la riduzione da cinque a tre anni di separazione per poter chiedere il divorzio. Era il 1987 e la legislatura stava per concludersi anticipatamente, così convocò la commissione, perché quella riforma, sia pure insufficiente, andasse in porto. E così fu, all’unanimità.
Giorgio Frasca Polara, giornaliara de “L’Unità”, fu suo portavoce durante la presidenza della Camera.
Un’intensa relazione umana coniugata con la ferma osservanza dei ruoli istituzionali.
Ha scritto una lunga e appassionata biografia della prima e più stimata Presidente della Camera.
Degli stralci svelano episodi ignoti e, soprattutto, confermano la dirittura morale di Nilde Iotti da donna politica per l’intera vita, da dirigente del maggiore partito comunista d’Occidente, da deputata, da terza rappresentante delle istituzioni, da compagna di Palmiro Togliatti, da madre di Marisa.
Eppure, poco prima di morire, consapevole di non poter più assolvere il suo mandato popolare “con disciplina e onore”, scelse di dimettersi.
Un atto, che oggi in molti riterranno vietato!
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