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Fra miserevole e farsesco
di
Elisa Fontana *
Breve storia triste e persino penosa, ma non inattesa.
Qualche giorno fa in Commissione Bilancio del Senato si discuteva il decreto “Fisco” relativo a “misure urgenti in materia economica fiscale”. Durante la discussione si è aperto il caso del 2 per mille, cioè quel sistema attraverso il quale quei pochi che ormai pagano le tasse possono destinare ai partiti politici il 2 per mille dell'Irpef che dovrebbero pagare.
Ed ecco il colpo di mano, degno della banda degli onesti di Totò&Peppino. Due senatori presentano un emendamento per alzare il tetto massimo dei finanziamenti che i partiti possono ricevere attraverso il 2 per mille. Due senatori della solita maggioranza? Ma figuriamoci: uno del PD e uno di AVS, così, fra il lusco e il brusco, con il favor delle tenebre. L'emendamento prevedeva che la quota del 2 per mille spettante ai partiti passasse da 25 milioni di euro a 28.
E voi potete pensare che il nostro munifico governo scomodasse un emendamento per 3 miseri milioni in più? Con una splendida riedizione dei ladri di Pisa la maggiorana ha riformulato l'emendamento delle opposizioni, stabilendo che nel caso il contribuente non avesse espresso alcuna scelta i soldi così raccolti non andassero allo Stato, come avviene adesso, ma andassero in toto e in modo proporzionale ai partiti.
E così dai 25 milioni di contributo dell'odierno 2 per mille si sarebbe passati a 42,3 milioni di euro per il 2025, con evidenti minori entrate per lo Stato. Non male come furto con destrezza, no? Ovviamente i senatori Pd hanno dato parere favorevole all'emendamento del governo, mi pare anche superfluo scriverlo, mentre AVS ha fatto sapere di essere contraria e pronta a ritirare il proprio emendamento.
Ci ha dovuto pensare il Presidente della Repubblica ad avvertire i prodi emendanti che c'era un bel groviglio di motivi che avrebbe impedito la sua firma, tra cui la disomogeneità fra l'emendamento e l'argomento trattato dal decreto, la mancanza di necessità e urgenza, il tema in sé che richiederebbe eventualmente la discussione di una riforma e non un emendamento infilato nottetempo e, infine, l'impatto negativo sulla finanza pubblica. Fine della breve storia triste e persino penosa.
Vorrei solo notare come dopo la sbornia ipocrita e populista degli ultimi anni, forse fa capolino un po' di raziocinio. Finora i colpevoli di tutto il malaffare italiano erano i partiti, sentina di tutti i mali e di tutte le ruberie, mentre i politici erano povere vittime del sistema. Adesso pare che si cominci a scorgere un certo ripensamento che avviene dopo aver distrutto i partiti, averne teorizzato la liquidità, aver chiuso sezioni su sezioni e aver totalmente reciso la cinghia di trasmissione fra popolo e rappresentanti.
Che, se ci pensate bene, è il delitto perfetto. Salvo poi non solo lamentarsi dei voti mancanti, ma aver escogitato alternative innominabili come le varie fondazioni per finanziarsi.
A me pare arrivato il momento di fare una riflessione e un discorso chiaro e cristallino. I partiti sono sinonimo di libertà e pluralismo e nessuno può permettersi il lusso di farne a meno, pena un miserevole avvitamento su idee asfittiche figlie di una classe dirigente ben lontana dal sentire veramente il polso e il battito di chi vorrebbe rappresentare.
I partiti costano? Certamente, ma è un costo che mette in gioco democrazia e rappresentanza, dunque, deve essere sostenuto. Riflettiamo seriamente sul come farlo senza sperperi e furberie, smettiamola di fare i giochini miserevoli degli emendamenti delle due di notte e rivendichiamo a voce alta la necessità di avere la sezione di partito vicino casa, come cassa di risonanza e laboratorio di idee, progetti e proposte.
Credo che potremmo essere abbastanza stufi della ricerca dell'uomo o della donna della provvidenza, visti i risultati fra il miserevole e il farsesco ottenuti fin qui.
* Coordinatrice della Commissione Politica e questione morale dell'Osservatorio
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