|
I silenzi di Pio XII
di
Rinaldo Battaglia *
In queste ultime settimane del 1962, un giovane drammaturgo tedesco (era classe 1931) Rolf Hochhuth completò quello che, forse, per il pubblico e la critica sarà il suo capolavoro: “Il Vicario”. A dire il vero il titolo originale era più completo e bene identificativo: ‘Der Stellvertreter’ ossia “il Vicario di Cristo”, con chiari ed inequivocabili riferimenti al Papa di allora (in tedesco "Gottes Stellvertreter"): Pio XII.
Era la prima volta che un intellettuale tedesco, cresciuto durante il nazismo, poneva all’opinione pubblica tedesca e mondiale la domanda sulla condotta ed in particolare sui silenzi di quel Papa durante la guerra e soprattutto durante la Shoah e sui crimini di Auschwitz. Era la prima volta che qualcuno arrivava a tanto e che fosse tedesco e così giovane rendeva la questione ancora più importante e di attualità.
Pio XII era morto solo 4 anni prima (9 ottobre 1958) e, solo da qualche settimana, era stato aperto dal nuovo Papa Giovanni XXIII, ufficialmente e solennemente, il Concilio Vaticano Secondo (11 ottobre 1962) con le sue tante ambizioni di rinnovamento. Peraltro, la stessa ‘storia’ personale del nuovo Papa - durante la guerra e soprattutto durante la Shoah e sui crimini di Auschwitz – era stata totalmente diversa. E chi voleva saperlo lo sapeva per bene, documenti alla mano.
L’opera teatrale di Rolf Hochhuth avrà la prima assoluta nella sua Berlino il 20 febbraio 1963, diretta da Erwin Piscator, un luminare del teatro tedesco (peraltro rifugiatosi dal 1939 negli USA, causa le sue opere non troppo apprezzate dal nazismo). Riscontrò sin da subito un forte successo, tanto da essere poi replicata dal 1964 anche all’estero, per primo a Londra. Un forte successo, di certo, ma anche un altrettanto acceso dibattito politico e culturale sul ruolo e quindi le responsabilità del “Vicario di Cristo” verso la Shoah.
Le accuse ai silenzi di Pio XII oltre alla sua “passiva e cosciente complicità con il Nazismo nello sterminio degli ebrei” come più giornali allora scrissero, erano ben evidenti e documentate e non certo nascoste o sottintese.
Un forte successo, di pubblico e critica, dappertutto, tranne che in Italia. Da noi la realtà, politica, sociale e culturale era più difficile o – se si preferisce – più ipocrita o troppo ancorata al passato. Ad un passato che di certo non può ritenersi privo di critiche o pagine nere. Anzi.
Si deve sapere che la prima rappresentazione della pièce de ‘Il Vicario’ venne allestita a Roma (Teatro Scelta) solo per il 13 febbraio 1965 (2 anni dopo) e sebbene anche qui vi fossero grandi firme (regista Gian Maria Volonté, testo riadattato da Carlo Cecchi, protagonisti Nilo Checchi - nel ruolo del prete Riccardo Fontana che cerca di incontrare il Papa - e Giacomo Piperno nel ruolo di Pio XII) trovò il nostro mondo contro, tra l’ipocrisia tipica dell’italiano medio e la prepotenza della politica di casa nostra. Ora come allora.
Interessante, a riguardo, un articolo recente (1° marzo 2024) del critico Mirko Capezzoli che bene spiega quel momento di 60 anni prima.
“La politica prese a interessarsi al caso, così come un anonimo “scultore” che, approfittando della neve caduta in abbondanza il 9 febbraio, realizzò una bara davanti alla casa di Gian Maria Volonté. La prova generale del Vicario era fissata per sabato 13 febbraio alle 22, ma ben prima che lo spettacolo avesse inizio, via Belsiana era già affollata da giornalisti, critici, artisti, politici. Intorno alle 21 diverse pattuglie della pubblica sicurezza bloccarono l’accesso alla strada e l’ingresso al teatro, mentre altri agenti entrati in sala raggiungevano gli attori frapponendosi tra loro e gli spettatori già presenti per invitarli a uscire adducendo non meglio precisati problemi di agibilità”.
Non potendo agire per motivi politici, religiosi o culturali, in altre parole la Polizia fece chiudere il teatro per mancanza del certificato di agibilità dei locali. Che fosse una ‘scusa’ lo si capì meglio qualche giorno dopo, quando il Prefetto di Roma vietò lo spettacolo “in quanto contrario alle norme contenute nel Concordato”.
Ovviamente non tutto il mondo artistico italiano restò muto contro questa censura. Sebbene fosse coerente col nostro modo di vivere e fare. Ne sanno qualcosa film mai realizzati (‘L’armata Sagapo’ di Renzo Renzi e Guido Aristarco) o se realizzati poi bloccati e mai rappresentati in Italia o, a tutti gli effetti, censurati (“Le soldatesse” di Ugo Pirro, “Il leone del deserto” o ‘Il Generale dell’Armata morta’ di Luciano Tavoli). Tipico del nostro modo di fare: se non sei in linea, se non mi sei utile o a me favorevole, anche elettoralmente, ti stoppo, ti mortifico. Al massimo se non posso fare altro ti escludo. Non è che la RAI (meloniana o meno) sia nata solo nel settembre 2022.
La censura provocò, infatti, già da quel febbraio ’65 alcune azioni di protesta, sia da sostenitori ma soprattutto da intellettuali e attori. Addirittura, dai “teatranti” (così vennero etichettati, su alcuni media, quasi con volere offensivo) che “si asserragliarono nel teatro minacciando lo sciopero della fame a oltranza, circondati per tre giorni dalle forze di polizia, che così riuscì a rallentare l'afflusso di giornalisti e curiosi. Tra i partecipanti allo sciopero, lo stesso Volonté e l'attivista Franco Piperno. La protesta ebbe comunque vita breve, forse anche per l'ironico servizio di 16 pagine pubblicato dal settimanale satirico Lo Specchio, corredato da numerose fotografie che dimostravano i rifornimenti di uova sode e salsicce agli scioperanti”.
Le azioni di protesta del mondo culturale italiano obbligarono persino l’allora Ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani, a rispondere ad una precisa interrogazione parlamentare e fu costretto a dire che, quell’opera teatrale, andava contro agli impegni che lo Stato italiano l’11 febbraio 1929 aveva assunto nel Concordato. Concordato dove avevamo garantito, al tempo del Duce, “il carattere sacro della città di Roma”. L’opera a suo dire recava, infatti, offesa alla figura di Pio XII.
Peraltro, era stato proprio l’allora Cardinale Eugenio Pacelli in qualità di Segretario di Stato di Pio XI (e poi suo successore col nome di Pio XII) a far sottoscrivere i Patti Lateranensi tra Vaticano e l'Italia allora fascista, patti che saranno perfettamente clonati, poco dopo, anche con la Germania nazista (il cosiddetto “Reichskonkordat” del 20 luglio 1933). E sempre grazie al futuro Pio XII.
Ma malgrado tutto questo, in Italia non si riuscì a bloccare la divulgazione dell’opera teatrale. Se il problema era la città di Roma, si scelse di farla altrove. Venne infatti finalmente rappresentata nella chiesa sconsacrata del Complesso di Sant'Apollonia a Firenze grazie all’impegno dell'ORUF, (Organismo rappresentativo degli studenti dell'Università degli Studi di Firenze) che gestì il tutto in autonomia dalle regole dell'ordine pubblico. E senza alcun problema, né prima né dopo lo spettacolo.
Passarono molti anni, cadde il muro di Berlino, finì la guerra fredda, scomparse l’URSS quale esempio e timore del comunismo che tanto faceva paura a Pio XII. Basterebbe leggere i suoi discorsi (19 maggio 1939) dopo la vittoria fascista di Francisco Franco - aiutato da Hitler e Mussolini mentre contro vi era Stalin - nella guerra civile spagnola (“Porgiamo sincere grazie a Vostra Eccellenza per la vittoria della Spagna Cattolica»). Evidentemente, quel giorno, non erano di moda i silenzi di Pio XII.
Passò tutto, ma “Il Vicario” di Rolf Hochhuth, faceva ancora paura in certi ambienti. Il 19 aprile 2002 usciva un importante film di un famoso regista, quale Costa Gravas, che si basava ancora su quell’opera. E ovviamente mentre in Germania, Inghilterra e Francia venne intitolato semplicemente “Der Stellvertreter” (Il Vicario) in Italia si dovette ricorrere ad un altro titolo: “Amen”. Meno diretto e identificativo della vicenda a cui apertamente e dichiaratamente si riferiva. Ed era solo il 2002, 22 anni fa. Il successo in Italia non fu eccelso, fu molto ostacolato e quasi mai passò nelle tv, statali o commerciali che fossero. Eppure, era un film di Costa Gavras!
vai alla seconda parte
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
Dossier
diritti
|
|