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01 ottobre 2024
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Il "revier" di Dora
di Rinaldo Battaglia *

Più sconvolgente per i ‘superstiti’ di Dora furono poi le parole di Gianni (Gianfranco Maris, Gianni per gli amici nel lager, racconto liberamente tratto dalle sue dichiarazioni a Salsomaggiore nel convegno su Mittelbau-Dora – 11 e 12 ottobre 1985).

Gianni disse che era sopravvissuto ad alcuni mesi di ‘miniera’ (cfr. i piani più profondi e sottoterra di Dora) grazie essenzialmente all’aiuto di un altro haftling, Mario, che nella sua ‘kammer’ fungeva da ‘capoblock’. Questa era una figura presente, soprattutto nella prima fase di Dora ed in alcune ‘squadre’. Solitamente era l’haftling (lo schiavo) più anziano del gruppo, della stessa nazionalità, che fungeva da ‘trade-union’ tra le minimali esigenze vitali dei deportati e le richieste violente e pressanti del Vorarbeit e dei Kapò. In alcuni casi, a Dora come altrove, furono essenziali, per mitigare le violenze o le frustate e per ‘confortare’ i più disperati e moribondi, nei momenti critici.

Gianni raccontò che appena arrivato, si beccò una probabile pleurite con sospetto di tbc. Era spacciato, insomma. Mario – che Gianni ricordava come si ricorda un padre – intervenne e non si sa in che modo, riuscì a portarlo di nascosto nel ‘revier’ (‘quartiere’, o meglio ‘reparto’) dove lavorava anche un giovane medico tedesco, che di nazista non aveva nulla. Più volte Gianni ripetè che era ‘tedesco’, tedesco di Germania, non altro. Il ‘revier’ - qualcuno se lo fece allora spiegare bene, non avendone mai avuto prima conoscenza – a Dora era una via di mezzo tra infermeria e ‘anticamera del forno crematorio’, (più la seconda a dire il vero) posta comodamente vicino ai forni, dove i medici meno in voga alle S.S. del lager dovevano curare qualche guardia o soldato della Wehrmacht, di secondo livello e non degno di esser seguito direttamente dalla ‘sala infermeria’ in superficie, quella dedicata agli Ufficiali o alle migliori guardie.

Ma non solo. Il ‘revier’ aveva anche altri ‘utenti’ e altri’ obbiettivi. Ma questo giovane, rischiando la vita, era più medico dei Mengele o dei vari dottori di Buchenwald, senza magari neanche sapere cosa fosse il giuramento di Ippocrate.

Parlava bene l’italiano (sembrava che avesse studiato anche in Italia) e cercò di curarlo come meglio poteva, nascondendolo affinché riposasse e facendogli dare qualche mestolo di zuppa clandestina. Senza tante medicine o pastiglie di un qualcosa, perché nel ‘revier’ erano merce rarissima. Fecero amicizia e dopo qualche giorno, il giovane medico si confessò.

‘Gianni, come sai nessuno da qui, esce vivo. Specialmente noi medici o tutti quelli che fanno il servizio ai forni crematori, perché una volta liberati saremmo testimoni scomodi. Fammi un piacere: se riesci a tornare a casa, giurami, giurami che dovrai testimoniare su tutti i crimini che sotto stati commessi, in questo maledetto lager’.

Quando Gianni fu in grado di reggersi in piedi, il medico gli fece visitare di nascosto altre stanze, altri reparti, dove in teoria c’erano gli ammalati di polmonite. Questi venivano fatti sdraiare su un tavolo di mamo, sopra due coperte inzuppate di acqua gelida, quasi ghiacciata, e ricoperti di altri due panni sempre gocciolanti ancora di acqua gelida. E sopra altre due coperte asciutte e bene rimboccate. Veniva controllata la temperatura e la loro durata o resistenza a questi trattamenti. Si studiava, si prendeva nota, quasi appunti. Vicino vi era una vasca di acqua con a fianco un compressore: l’ammalato veniva immerso tutto nella vasca e l’acqua fatta gelare all’improvviso. Col cronometro si misurava il tempo che resisteva, il tempo che ci metteva a morire.

In un altro reparto, quello dei diabetici, vi erano degli scheletri viventi ‘con gambe talmente gonfie e lucide che sembravano verniciate’. In altri reparti, su alcuni disperati venivano praticate delle incisioni ed iniettato del siero che in pochi giorni avrebbe loro provocato la cancrena, tra mille dolori atroci, e solo per studiarne la cura più idonea ed efficace.

Il reparto ‘dissenteria’ era peggio di un porcile, feci da tutte le parti, escrementi anche sui muri. Liquido che cadeva giù per le gambe di questi ammalati - a cui erano stati sperimentati dei ‘medicinali’ - ammalati nudi, senza pantaloni, talvolta solo con un piccolo straccio sporco in mano. Nel ‘revier’ addetti alla pulizia erano sempre degli haftling che erano obbligati a lavare due volte al giorno le stanze e gli ammalati stessi con forti getti di idranti, sotto l’attento controllo delle guardie. I corpi degli ammalati erano talmente deboli che non riuscivano nemmeno ad ammucchiarsi tutti negli angoli, per salvarsi dal getto d’acqua.

Più avanti c’era il reparto ‘mutilati’ ossia deportati forse feriti nel lavoro o forse ‘operati’ quale esperimento, senza qualche gamba o braccia o entrambi gli arti. Fasciati con fasciature di rotoli di carta, quasi igienica, sporca insanguinata e il tutto in mezzo ad odori nauseanti e indescrivibili. A seguire la ‘sala operatoria’, dove il medico, disse si operava senza anestesia, più con obbiettivi sperimentali che di guarigione dell’ammalato.

Quella sera Gianni non riuscì a proseguire e nemmeno gli altri, ad avere la forza di continuare ad ascoltarlo. Lo faranno qualche giorno dopo. Ma già quella sera più di qualcuno capì il perchè prima non aveva mai sentito il termine ‘revier’ e tanto meno cosa e dove fosse. Nel ‘comune vivere’ di Dora per tutti era parte del crematorio, un tutt’uno, e quindi catalogato in quanto tale. Avrebbe di certo preferito restare ignorante, come il giorno prima, quando non aveva conosciuto il povero Gianni.

11 ottobre 2024 – (39 anni dopo la conferenza di Salsomaggiore) - Rinaldo Battaglia liberamente tratto dal mio ‘Alla sera mangiavamo la neve’ - ed. AliRibelli – 2021

Gianfranco Maris antifascista, partigiano, arrestato e condannato a morte, fu deportato in più lager, tra cui anche Mauthausen e Gusen.
È stato senatore della IV e della V legislatura, eletto nelle liste del Partito Comunista. È stato membro del Consiglio superiore della magistratura dal 1972 al 1976. Ha fatto parte del comitato italiano incaricato di predisporre il Memoriale italiano di Auschwitz.
È stato presidente della Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti, presidente della Fondazione Memoria della Deportazione, vicepresidente dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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