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Toti: si pone una questione morale
di
Elisa Fontana *
Mi pare che alla conclusione del caso Toti sia stata riservata scarsa rilevanza politica e mediatica, se non per lo stretto necessario, trascurando del tutto l'aspetto etico della vicenda.
L'ex presidente della Liguria ha dichiarato di aver chiesto il patteggiamento e avrà una condanna di circa due anni che sarà convertita in 1500 ore di lavori socialmente utili. E ha soggiunto che, al termine delle indagini, dalle accuse di essere un corrotto si è arrivati all'accusa di aver parcheggiato in divieto di sosta. La battuta dovrebbe far sorridere, ma disvela solo il vizio perenne della politica italiana: l'autoassoluzione.
Cominciamo con il dire che l'aver proceduto ad un patteggiamento è una ammissione indiretta di colpevolezza, senza la quale non gli sarebbero stati comminati due anni, perché fino a prova contraria gli innocenti non accettano di andare in carcere. Dopodiché vorremmo ricordare all'innocente Toti che anche parcheggiare in divieto di sosta è una cosa che non è permessa.
Fuori dalle battute, i magistrati hanno indagato e trovato che Toti governava in un ampio contesto corruttivo e dichiarare che nemmeno un euro è stato preso personalmente non è una scusante. E' semplicemente una inaccettabile foglia di fico per nascondere, comunque, una discesa nell'illegalità.
Perché Toti sa benissimo che per finanziare i partiti e il personale politico c'è una legge ben precisa e quel che è accaduto in Liguria era o finanziamento illecito dei partiti (mi finanzi in nero in tutto o in parte) o corruzione impropria (per dovere d'ufficio dovrei fare quell'atto che ti spetta di diritto, ma forte del mio potere, lo ritardo fino a quando tu non ungi le ruote). E ancora più inaccettabile è dire che sei stato vittima “di una legge populista, di leggi mal scritte, di una politica un po’ ipocrita e disinteressata”.
Quella che ha abolito il finanziamento pubblico dei partiti è sicuramente una legge populista, cui vi siete tranquillamente accodati anche voi del centro-destra, ma ti darò una notizia, è una legge dello Stato e fino a quando è in vigore chiunque ha l'obbligo di rispettarla. Chiunque, soprattutto se ha responsabilità politiche e ricopre ruoli istituzionali.
Quindi la storiella del “non un euro per me”, fa ridere, perché sicuramente non ne avrai presi personalmente, ma sei stato complice di un reato. E, poi, vogliamo dirla tutta? E' vergognoso che un presidente di regione passi il suo tempo sullo yacth di un imprenditore che potrebbe avere benefici dalla sua azione politica (e li avrà, eccome), E poi facendo riunioni in cui per prima cosa si mettevano i telefonini su un tavolo, lontani dai convenuti che avrebbero potuto parlare senza paura di essere intercettati, scene che abbiamo visto solo nei film di mafia.
E ancora, una girandola inarrestabile di viaggi a Montecarlo, viaggi su aerei privati, borse firmate, gioielli in regalo, una vita dorata per sé e il proprio entourage elargita, ovviamente, in vista di benefici. Vale la pena ripeterlo: è vergognoso.
E capisco che avresti gioco facile a dire che così fan tutti, ma questo non attenua di certo la vergogna di avere scambiato la politica per un pezzo di carne da azzannare e spolpare senza pietà.
Qui non siamo più alla pervasività dei partiti nella vita dello Stato e di tutte le sue istituzioni, come denunciava Berlinguer inascoltato nel 1981, qui ormai si banchetta a quattro palmenti con i resti dello Stato e si chiede pure l'assoluzione e anche una medaglia per non aver preso un euro. Questa ennesima storiaccia ci certifica solo che il Paese è felicemente privo di qualsivoglia bussola etica e totalmente sprovvisto di quegli anticorpi che possano tenere lontano chiunque torca la logica a proprio piacimento.
* Coordinatrice Commissione Politica e Questione morale
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