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13 settembre 2024
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GEMEINSCHAFT (comunità)
di Stefano Masson

Non c'è dubbio: il concetto di comunità è tornato nel dibattito in forma smagliante. E senza essere invitato. Si è semplicemente imposto.

Ci tocca di nuovo parlarne e molto seriamente: non è liquidabile con battute ed etichette poste sommariamente. Non può essere "schiacciato" sullo storico esito fascista, ma al contempo lo contiene nel suo ventaglio di possibilità.

Quindi qualche preoccupazione ce la dovrebbe destare. Ma soprattutto ci dovrebbe destare i neuroni, perché il prêt-à-porter liberale pare oggi improponibile, inservibile.

Tanto più che non è solo l'opposizione formale Gemeinschaft/Gesellschaft di Tönnies a tornare d'attualità, ma è tutta una costellazione d'idee che furono portanti della "rivoluzione conservatrice", anche poste contraddittoriamente tra di loro e in concorrenza. Compresa, ad esempio, l'antropologia di un Arnold Gehlen, magari non correttamente ascrittagli e tuttavia presente in certi frammenti del discorso pubblico. Bene? Male? Iniziare a ragionarci sarebbe la risposta migliore.

Insomma, mi pare tutta una visione del mondo in grande spolvero. E non soltanto perché ci sono soggetti politici identitaristi ben disposti ad usare quella panoplia di teorie e concetti. Ma perché sembrano, assai più che nel recente passato, mettere a fuoco brandelli di realtà precedentemente oscurati dall'egemonia liberale.

E l'inservibilità del pensiero liberale ad affrontare seriamente la nuova situazione non è determinata soltanto dalla sua ben documentata miopia selettiva.

È il suo vero e proprio collasso che ce lo impedisce: la sua progressiva convergenza con il "pensiero della comunità", inteso nelle forme più estreme e regressive.

Continua, infatti, a lasciarmi esterrefatto l'istantaneo adeguamento di buona parte del liberalismo nordeuropeo a una campagna di tribalismo culturale (seppur transnazionale) quale CancelRussia. O il suo plauso senza ripensamenti al "sangue e suolo" di una parte consistentissima del nazionalismo ucraino.

Il "Giardino Ordinato versus Giungla Selvaggia", cioè la formula più icastica del suprematismo occidentalista (anche questa poco völkisch, ma impressionantemente razzista e tribale) ci giunge poi da un liberal-socialista, non da un colonnello della Folgore.

Ne consegue che ci tocca reimpostare la questione comunità/società (e tutto ciò che vi s'accompagna: patria, identità culturale e cittadinanza in primis) piuttosto in solitaria. E probabilmente, senza fare soverchio affidamento sugli strumenti critici ereditati dal Novecento e forse neppure in certe discussioni recenti.

P.S. Ovvio, ho in mente la Wagenknecht. Ma non solo.
D'altronde, mi sembra chiaro che la maggiore criticità del suo pensiero non sia il vagheggiato ritorno a flussi d'immigrazione regolati e contrattati (poiché non propone di bombardare barconi di profughi, in un mondo che è ormai un'imprevedibile polveriera, sottostà molto laicamente al vaglio della fattibilità concreta, come alla fine ci stanno le utopie "no borders").
È invece il suo sdoganamento della Gemeinschaft a sollevare i dubbi più forti. Più forti perché quello sdoganamento, bene o male compiuto "a sinistra", affronta alcuni aspetti non del tutto fittizi della questione. E che finora avevamo preferito ignorare o, con indizio di subalternità al pensiero liberale, considerare definitivamente archiviati.


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