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Picconare legalità e PIL come se niente fosse
di
David Cappellini
Prendi un manager pubblico, cioè di solida nomina politica, non importa se di destra o di sinistra, l'importante è che sia ben introdotto nell'ambiente economico e finanziario.
Uniscilo ad un esponente della borghesia finanziaria, magari un rampollo di una famiglia storica del capitalismo italiano, con qualche parente in Confindustria e in Parlamento.
Infine mettili sotto il nume tutelare di un potente politico pieno di preferenze e di contatti sul territorio dove lo eleggono.
L'azione sinergica di questi tre soggetti produrrà una serie di situazioni vantaggiose essenzialmente per loro e per chi hanno vicino, ma in un paese come il nostro, che è stato tra i più ricchi e produttivi al mondo, ha lasciato anche qualcosa per il resto della popolazione, non inserita pienamente in questa logica.
Questa è la storia dell'Italia moderna, in cui classe politica, ceti burocratici parassitari e borghesia finanziaria hanno operato per decenni e continuano a farlo.
Il politologo Giorgio Galli stima che nel trentennio finale del secolo scorso, il PIL italiano che è cresciuto mediamente del 3%, sarebbe potuto crescere il triplo, senza l'azione sistematica di questi soggetti.
Non hanno creato solo un aumento del debito pubblico, con corruzione, sprechi e ruberie varie, perché il debito italiano ha anche ragioni endogene legate a scelte politiche compiute comunque dagli stessi, vedi il divorzio tra Tesoro e Bankitalia, ma hanno attivamente partecipato alla caduta del senso civico e alla sua sostituzione con il familismo amorale.
Nei decenni questi soggetti politici ed economici hanno contribuito costantemente a fare abbassare alla politica l'asticella della legalità, trascinandola sempre di più verso il fondo con leggi ad hoc, poi ad personam ed infine immaginando una deregulation assoluta sui diritti degli altri e sui loro doveri.
Paradigmatico il recente caso della Liguria, tra altre migliaia di casi simili, con un tipico burocrate, Paolo Emilio Signorini, a.d. del porto di Genova di nomina pubblica, un imprenditore, Aldo Spinelli, concessionario principale dello stesso organismo e spregiudicato procacciatore di affari personali e Giovanni Toti, presidente di Regione e garante politico del rapporto economico tra i due.
Ci sono tutti e tre gli elementi sopradescritti, in perfetta armonia e con l'incredibile convinzione da parte dei protagonisti, di non fare niente di sbagliato e di illegale.
Sì, perché questo è il familismo amorale e questa e la consuetudine a cui noi italiani ci siamo abituati senza indignarci più di tanto. E con questa indifferenza agiamo e votiamo.
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