02 maggio 2007

 
     

Reati societari : l'infedeltà patrimoniale ex art. 2634 C.C.
dell'avv. Giovanni G. Ladisi

< prima parte

1. L'iter giurisprudenziale e legislativo. In mancanza di una specifica disciplina normativa, l'infedeltà patrimoniale, a partire da un fondamentale scritto di Cesare Pedrazzi risalente agli anni cinquanta12, è da sempre al centro dell'interesse della dottrina italiana, la quale, di fronte ad un legislatore esitante e restio13, sollecitava l'introduzione di una fattispecie incriminatrice che nell'ambito societario si definisce come abuso del patrimonio sociale da parte degli amministratori14. Di fronte all'insufficienza dei reati societari posti a tutela del patrimonio sociale, la prassi giurisprudenziale al fine di sanzionare tale condotta infedele ha fatto più volte ricorso al delitto di false comunicazioni sociali o in alternativa al delitto di appropriazione indebita.

L'interesse mostrato dalla giurisprudenza verso la norma sul falso in bilancio viene giustificato dal fatto che, soprattutto nella vicenda giudiziaria di "tangentopoli", tale disposizione ha costituito lo strumento per consentire a posteriori un controllo sulle modalità di gestione dell'impresa. Ma di fronte ai molteplici problemi creati da tale mezzo di controllo, la dottrina ha sempre più intensamente sostenuto che solo attraverso una disciplina a monte diretta a contrastare gli abusi nella gestione sociale si evita di scaricare a valle tutte le tensioni del delicato rapporto tra legalità ed impresa15. Per quanto riguarda invece il delitto di appropriazione indebita, si consideri come la giurisprudenza abbia utilizzato tale fattispecie incriminatrice, collocata nell'ambito del codice penale e precisamente tra i delitti contro il patrimonio di cui all'art. 646 c.p., come strumento in grado di consentire un giusto collegamento rispetto a quelle determinate condotte di gestione delle società finalizzate alla creazione di fondi occulti da utilizzare per attività illecite.

Ma il ricorso a tale norma si dimostrò ben presto insufficiente, in quanto non era in grado di garantire un'adeguata tutela del bene giuridico, cioè del patrimonio sociale, di fronte agli abusi commessi dagli amministratori che infatti sfuggivano alle previsioni dell'art. 646 c.p., sebbene si trattasse di ipotesi altrettanto e anche più meritevoli di pena16. A questo proposito basti menzionare le osservazioni fatte dalla dottrina e giurisprudenza17, anche se non molto attuali, per le quali l'art. 646 c.p. non si potrà applicare nel caso in cui tra il profitto perseguito dall'amministratore e la società esista un rapporto di scambio pure se fittizio; oppure quando l'operazione sia stata eseguita a favore di terzi e l'amministratore ottenga un vantaggio solo indiretto. Dall'ipotesi disciplinata da tale norma rimangono inoltre escluse le operazioni immobiliari e quelle in cui la società a causa dell'inerzia dell'amministratore non ottiene alcun guadagno. Questo però non era l'unico limite che la norma evidenziava poiché, nel susseguirsi delle vicende giurisprudenziali, tale fattispecie essendo così generica veniva a sanzionare anche quel comportamento tenuto dall'amministratore, il quale pur agendo nell'interesse della società commette il reato di appropriazione indebita, qualora, "costituendo riserve di denaro extrabilancio, con gestione occulta, le distragga in favore di terzi per scopi illeciti ed estranei all'oggetto sociale ed alle finalità aziendali, così procurando ad essi un ingiusto profitto"; e ciò in quanto "la condotta di appropriazione consisterebbe non solo nell'aggiungere al proprio patrimonio la cosa mobile altrui, ma anche nel disporre arbitrariamente, uti dominus, sotto qualsiasi forma, in modo tale che ne derivi 17 per il proprietario la perdita irreversibile18".

Da ciò si deduce che sia l'atteggiamento giurisprudenziale che si è preso finora in considerazione, sia l'esigenza di armonizzazione europea, in quanto il nostro ordinamento era rimasto tra gli ultimi a non contemplare una fattispecie di infedeltà patrimoniale connessa alla gestione delle società commerciali, rappresentano la controprova della necessità per lungo tempo rilevata dalla dottrina di introdurre un'ipotesi diretta a sanzionare l'infedeltà patrimoniale19. Sul piano invece delle iniziative legislative in materia d'infedeltà patrimoniale la prima proposta efficace è stata quella presentata nel corso dell'VIII legislatura da parte dei deputati Minervini e Spaventa. Nel disegno di delega legislativa "per la revisione ed il riordino delle disposizioni penali in materia di società commerciali", l'art. 5 prevedeva una fattispecie generale di infedeltà patrimoniale, intesa come "esercizio del potere di amministrazione sul patrimonio altrui in contrasto oggettivo con l'interesse del titolare, per finalità personali dirette o indirette del soggetto agente". Tale iniziativa fu poi ripresa nel progetto di legge sulle S.I.M. approvato dal Senato il 27 aprile 1989, in cui si prevedeva l'introduzione nel codice penale dell'art. 640-bis, nel quale sotto la rubrica "amministrazione infedele" si sottoponeva a pena, con la reclusione fino a cinque anni, una condotta di infedeltà simile a quella prevista nell'ordinamento tedesco.

Questa fattispecie criminosa era sostanzialmente fondata sulla sequenza di questi momenti:

  • l'affidamento al soggetto dell'amministrazione di interessi patrimoniali altrui;
  • l'abuso del potere o la violazione del dovere;
  • la causazione di un danno al patrimonio amministrato. 19

Il legislatore però, in seguito, ha implicitamente abbandonato la figura dell'amministratore infedele che non venne più introdotta nel testo definitivo della legge del 2 gennaio 1991 istitutiva delle Società d'intermediazione mobiliare. Successivamente, sempre al fine di colmare questa lacuna esistente nel nostro ordinamento, venne disposta nel corso della X legislatura l'introduzione nel testo del progetto del codice penale che fu elaborato nel 1992 dalla commissione Pagliaro, e precisamente all'art. 112 n.2., di un delitto di infedeltà patrimoniale consistente nel fatto di "chi con abuso di poteri o violazione dei doveri inerenti alle funzioni esercitate nell'impresa, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, cagioni all'impresa un danno patrimoniale - specificando - che non è ingiusto il profitto dell'impresa collegata, ove questo sia compensato dai riflessi favorevoli per l'impresa per il cui conto l'atto è compiuto".

Ma le sopracitate originarie fattispecie di infedeltà erano differenti sia rispetto a quella dapprima prevista nell'art. 38 del d.lgs. 23 luglio 1996 n. 415 (c.d. decreto Eurosim20) e successivamente anche da quella proposta nel recente progetto Mirone, poiché le prime si basavano su un nucleo centrale come l'abuso di potere o la violazione del dovere, che è molto più descrittivo e meno tassativo rispetto a quello del conflitto di interesse utilizzato nei successivi testi ed anche nel previgente art. 2631 c.c. disciplinante il conflitto di interessi, Come già accennato, le più recenti iniziative di riforma culminano con la redazione da parte della "Commissione ministeriale Mirone" dello schema di disegno di legge delega per la riforma del diritto penale societario, dove all'art. 10 n. 12 di tale progetto si prevede un'ipotesi delittuosa di infedeltà patrimoniale consistente "nel fatto degli amministratori, direttori generali e liquidatori, i quali in una situazione di conflitto di interessi, compiendo o concorrendo a deliberare atti di disposizione dei beni sociali al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, cagionano un danno patrimoniale alla società". La punibilità viene estesa al caso in cui "il fatto sia commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a quest'ultimi un danno patrimoniale". Si specifica, inoltre, che "non si considera ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se esso è compensato da un vantaggio anche ragionevolmente prevedibile, derivante dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo".

Questa figura di infedeltà patrimoniale progettata dalla Commissione Mirone venne in gran parte utilizzata nella formulazione dell'attuale art. 2634 c.c., anche se in realtà in sede di stesura definitiva vennero aggiunti ulteriori elementi agenti su altrettanti diversi livelli. Su quello soggettivo, il dolo specifico viene esteso fino a contenere una finalità di "altro vantaggio" diverso ed ulteriore rispetto all'ingiusto profitto; inoltre, il dolo si distingue per l'utilizzo dell'avverbio "intenzionalmente", che si richiede ai fini della causazione del danno patrimoniale alla società, il che significa che il reato è caratterizzato oltre che dal dolo specifico, anche dal dolo intenzionale di danno patrimoniale alla società; infine sul piano della procedibilità, si esige la presenza della querela della persona offesa21.

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12 Cesare Pedrazzi, Gli abusi del patrimonio sociale ad opera degli amministratori, in Riv. it. dir. pen. 1953, p. 537 ss. 13 F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari. I- I reati societari, bancari di lavoro e previdenza. XII edizione aggiornata e integrata da L. Conti,. Giuffrè 2002, p. 259. 14 Da sempre favorevole alla creazione di questa fattispecie incriminatrice è stato Nuvolone, Infedeltà patrimoniale, in Enc. Dir., vol. XXI Milano, 1971 cit. 440, secondo il quale ai fini dell'esistenza della fattispecie di infedeltà è necessario che ricorrano tre requisiti: a) una condotta consistente nel "danneggiamento effettivo o tentato degli interessi patrimoniali di una persona (soggetto passivo)"; b) il dolo "almeno eventuale" che qualifichi il danneggiamento o la messa in pericolo; c) la "violazione di un obbligo di fedeltà che il soggetto attivo del reato ha verso il soggetto passivo i cui interessi, in un ambito più o meno vasto, dovevano essere tutelati da questo obbligo". Quest'ultimo requisito implica necessariamente il richiamo al concetto di conflitto di interessi come presupposto indispensabile di quello di infedeltà, il quale si sostanzia nella subordinazione degli interessi del soggetto agente a quelli di altra persona. Inoltre, sempre secondo Nuvolone il concetto di infedeltà non deve implicare necessariamente quello di abuso di potere che costituisce sempre una violazione del dovere di onestà, ma al tempo stesso non costituisce sempre infedeltà. Infatti l'abuso di potere è "una violazione del dovere di fedeltà solo quando viene commesso a danno del soggetto a cui la fedeltà stessa è dovuta, non allorché viene commesso a danno di un terzo qualsiasi anche se si è entrati in rapporto con questo in ragione del posto occupato". Sempre nell'ambito di coloro che in dottrina si sono mostrati favorevoli all'introduzione di questa fattispecie, si può segnalare anche Flick, Attività bancaria e pubblico servizio: i termini attuali del dibattito, in Riv. società, 1982, p. 750 ss. Secondo quest'ultimo la mancata introduzione di tale fattispecie, a differenza degli altri ordinamenti in cui è stata già adottata come punto di riferimento fondamentale del diritto penale d'impresa, è dovuta ad una serie di ragioni quali: "la sua limitazione al solo settore del credito; la difficoltà di articolarla in modo rispettoso del principio di tassatività e precettività; ma soprattutto il conseguente timore di attribuire tramite essa un eccessivo spazio all'intervento giurisprudenziale in termini di controllo ex post di merito e di opportunità". In questo modo con la non creazione della fattispecie di infedeltà viene evitato o solo circoscritto il timore di un controllo da parte del magistrato penale che porti ad una valutazione ex post sull'opportunità imprenditoriale dell'operazione. Per un'ulteriore approfondimento circa l'introduzione della fattispecie di infedeltà si veda più di recente: Foffani, Infedeltà patrimoniale e conflitto di interessi nella gestione di impresa, Profili penalistici, Milano 1997. p. 365 ss.
15 Paolo Aldovrandi, Infedeltà patrimoniale, in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di Alessio Lanzi-Alberto Cadoppi, Cedam Padova 2002, p.130.
16 Cesare Pedrazzi, Gli abusi del patrimonio sociale ad opera degli amministratori, cit., p. 541. 17 In giurisprudenza, circa l'esclusione della responsabilità ex art.646 c.p. a carico di chi abbia destinato a profitto proprio immobili acquistati per conto di una società, si veda Trib. Livorno 6 febbraio 1964, in Foro it. Rep., voce Appropriazione indebita, n. 5.
18 Così Cass. pen. 4 aprile 1997, Bussei, in Cass.pen., 1998, p. 440 ss., che considera formalistico l'orientamento espresso in precedenza dalla Cass. pen., 23.6.1989, Bernabei, in Riv.it. dir. proc.pen., 1991, p.266 ss., che aveva escluso la responsabilità dell'amministratore.
19 Anna Lisa Maccari, Infedeltà patrimoniale, in I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali, a cura di Fausto Giunta, Torino, 2002, p. 150.
20 Con l'art. 38 del d.lgs. Eurosim del 23 luglio 1996 n. 415 si assiste per la prima volta alla positiva introduzione di una figura di reato riconducibile al modello dell'infedeltà patrimoniale. Tale ipotesi con limitate modificazioni, si è trasfusa nell'art. 167 del d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (Testo Draghi) con il nomen juris "Gestione infedele". La norma prevede che: "Salvo che il fatto costituisca reato più grave, chi, nella prestazione del servizio di gestione di portafogli di investimento su base individuale o del servizio di gestione collettiva del risparmio, in violazione delle disposizioni regolanti i conflitti di interesse, pone in essere operazioni che arrecano danno agli investitori, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l'ammenda da lire dieci milioni a lire duecento milioni". Ma anche se in base a questa norma il settore operativo della stessa è limitato alla sola "prestazione del servizio di gestione di patrimoni su base individuale o del servizio di gestione collettiva del risparmio", tale fattispecie ha rappresentato nel settore dell'intermediazione finanziaria una prima difesa contro gli abusi patrimoniali realizzati nell'ambito della gestione di beni altrui ed ha tuttavia costituito un parametro di riferimento per la creazione della attuale ipotesi d'infedeltà patrimoniale (Anna Lisa Maccari, Infedeltà patrimoniale, cit., p. 152).
21 Vincenzo Militello, L' infedeltà patrimoniale, in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di A. Giada, Cedam 2002, p.479.

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