NOTIZIARIO del 17 giugno 2004

 
     

Iraq : una storia di torture al tempo di Saddam
di Shorsh Surme*

Mentre si discute se era giusto o sbagliato la guerra in Iraq che ha tolto di mezzo il dittature Saddam Hussien, e che per 90% degli Iracheni era un incubo, vengono fuori delle storie drammatiche vissute dei cittadini di quel paese, come ci dimostra il racconto di Hawar che in curdo significa "Grido" insegnante di 38 anni ma ne dimostra più di 50, ci narra la sua storia:

"Mi sveglio nel cuore della notte con l'incubo che ci sia ancora Saddam. Quando mi arrestarono nel 1991 dopo la prima guerra del Golfo e prima che cominciasse la rivolta curda in Iraq, con l'accusa di aver scritto sulla lavagna delle farsi patriottiche curde, mi portarono in un carcere al sud dell'Iraq, rimasi per tre mesi in una cella un metro per uno metro, non riuscì mai allungare le gambe dato che sono alto 184 cm" .

Dopo i tre mesi, continua Hawar con sospiri di angoscia " Mi portarono nel famoso carcere di Abu Greb, a Baghdad che sembrava una vera città, tutto rovinato, cerano dei segni di sangue e buchi di proiettili sui muri. Mi misero con altri 30 detenuti che erano composti da curdi e degli arabi prevalentemente Sciiti, anche loro erano stati accusati per l'attività sovversiva secondo il regime, lì fui torturato brutalmente, non c'era un'orario poteva capitarti di essere torturato alla notte inoltrata come la mattina presto e qualsiasi ora della giornata".

Hawar fa fatica a tirare fuori tutta la sua sofferenza, così intervalla il suo racconto dicendo "No, no, alla dittatura ", poi continua:" Il primo pseudo processo, ci portarono a occhi bendati fino al tribunale militare, ci tolsero per cinque minuti le bende, senza poter parlare, dopo tanti insulti ci dissero che siamo stati accusati come traditori e come tale dovevamo morire, dopo tanti calci e pugni ci bendarono e di nuovi in carcere."

"Dopo un'anno per la prima volta vidi mia madre, mi sembrava di essere rinato, mia madre mi raccontò che mi aveva cercato in tutte le carceri sia quelli di Arbil sia quelli di Kirkuk ma non mi aveva trovato, dissi a mia mamma che non dovevano aspettarmi perché mi avrebbero ucciso, come i miei compagni di cella che ogni giorno veniva mancare uno. Ma mia madre come tutte le donne curde coraggiose mi assicurò che mi avrebbe tirato fuori".

Finalmente Hawar sorride dicendo" per fortuna mi trasferirono nel carcere di Kirkuk in kurdistan e lì dopo una settimana un bel giorno sentimmo gridare viva il kurdistan, siamo rimasti sbalorditi, quando vedemmo dei partigiani curdi ad entrare nel carcere, non credemmo ai nostri occhi".

Conclude Hawar: " nonostante le ferite provocate della torture e la mancanza di forza cominciammo ad aiutare i partigiani per portare fuori i altri detenuti che erano molto più gravi di noi, così io riuscì a sopravvivere rispetto ai 180.000 curdi trucidati dal regime".

Quanti giovani come Hawar non sono più riusciti a riabbracciare i loro cari o giacciono nelle tante fosse comuni, per colpa di un uomo malato di potere e che un tempo aiutato anche dei paesi democratici d'Occidente in primis gli Stati Uniti d'America che per motivi di regione di stato e di realpolitik chiusero non solo un occhio ma tutte due.

* giornalista Kurdo

by www.osservatoriosullalegalita.org

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