NOTIZIARIO del 2 ottobre 2003

 
     

Relazione del pdl N. 1296 di Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario 2003

Attraverso il presente disegno di legge-delega si indicano i princìpi ed i criteri direttivi cui dovrà attenersi il legislatore delegato nel porre in essere una significativa riforma dell’ordinamento giudiziario, che la dimostrata inadeguatezza del «servizio giustizia» a soddisfare le esigenze dei cittadini – come attualmente disciplinato – induce a ritenere improcrastinabile. Si intende, pertanto, assicurare una risposta ad esigenze largamente avvertite nell’opinione pubblica, di cui il Governo si è fatto portatore fin dal momento delle proprie dichiarazioni programmatiche, ed in ordine all’opportunità delle quali è possibile riscontrare un ampio consenso anche in larga parte dell’opposizione parlamentare.

Innanzitutto, si ritiene necessario provvedere a dettare una nuova disciplina in relazione al concorso per l’accesso alla Magistratura, che consenta di assicurare la migliore qualificazione dei partecipanti riducendosi pure, in conseguenza, il numero dei concorrenti ed i tempi di espletamento delle prove. La riforma introduce quindi – con la finalità di garantire che siano chiamati a svolgere le funzioni di legittimità anche magistrati i quali non potrebbero accedervi in base alla normativa vigente, ma siano in grado di dar prova di meritare di esercitarle – il concorso per il conferimento delle funzioni di magistrato di Cassazione nella misura della metà dei posti disponibili. Si prevede in tal modo, anche per la magistratura ordinaria, un sistema di doppio canale di ammissione all’esercizio delle funzioni di legittimità che già sortisce positivi risultati per l’ accesso al Consiglio di Stato, massima magistratura amministrativa.

Risulta inoltre opportuno ridisciplinare la normativa in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, al fine di assicurare che tali momenti, essenziali per consentire il conseguimento della piena maturità professionale del magistrato, permettano anche di verificare il progressivo adeguamento della professionalità degli uditori al delicato ruolo che saranno in breve tempo chiamati a svolgere. Appare poi indispensabile provvedere a dettare la disciplina dell’aggiornamento professionale dei magistrati, prevedendo che lo stesso debba compiersi lungo il corso dell’intera carriera. Abbandonata l’attuale occasionalità e frammentarietà dell’offerta formativa, quest’ultima viene ad essere strutturata secondo princìpi di necessità e continuità, prevedendosi specifici incentivi che inducano tutti i magistrati ad avvalersi della stessa. Una particolare attenzione è quindi dedicata ai consigli giudiziari, dei quali si vogliono valorizzare le funzioni e le attribuzioni.

In tal senso, si intende innanzitutto porre rimedio presso la Corte di cassazione all’anomalia oggi costituita dall’assenza di un organismo analogo al Consiglio giudiziario. Inoltre, deve evidenziarsi che i Consigli giudiziari hanno la possibilità di conoscere sia le esigenze degli uffici giudiziari in sede locale sia i singoli magistrati, prima e meglio dello stesso Consiglio superiore della magistratura. Per questo motivo, si ritiene opportuno devolvere a tali organi decentrati anche compiti di sicura delicatezza, come l’approvazione delle tabelle degli uffici giudiziari. Da organismi prevalentemente consultivi del Consiglio superiore della magistratura, i Consigli giudiziari devono divenire organismi che assumono compiti e responsabilità deliberative. L’incremento delle loro attribuzioni, nonchè esigenze di simmetria con la composizione consiliare e di verifica dell’esercizio dei rilevanti poteri loro attribuiti, inducono poi a reputare necessaria la revisione della composizione dei Consigli giudiziari, prevedendosene l’integrazione con soggetti esperti del diritto e dell’amministrazione della giustizia estranei all’ordine giudiziario, come avvocati e professori universitari, nonchè con componenti designati dalle regioni.

Non più differibile risulta poi la previsione di una specifica regolamentazione delle condizioni che devono essere rispettate perchè possa consentirsi il passaggio del magistrato dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti, e viceversa. Pertanto, si considera necessario superare l’attuale possibilità di passaggio dall’una all’altra funzione in maniera pressochè indiscriminata, a volte all’interno del medesimo ufficio giudiziario. Si tratta di un fenomeno che ha comportato non poco nocumento all’immagine della magistratura ed alla fiducia riposta dalla cittadinanza nell’imparzialità, indipendenza ed autonomia dei giudici.

È apparso ancora urgente intervenire con una normativa non frammentaria, ma specifica, chiara ed inderogabile, per disciplinare la temporaneità degli incarichi direttivi, anche nella logica di incentivare la mobilità dei capi degli uffici. La scelta risponde, del resto, ad un’esigenza chiaramente avvertita nell’opinione pubblica, cui ha ripetutamente cercato di dare risposta l’organo di autogoverno della magistratura con propri atti. La permanenza di un magistrato investito di funzioni direttive per un periodo illimitato di tempo nel medesimo ufficio, infatti, può comportare la possibilità della formazione di un centro di potere che, indipendentemente dal concreto atteggiamento del magistrato, può indurre sospetti di parzialità nella cittadinanza, destinataria del «servizio giustizia».

Altro profilo dell’ordinamento giudiziario in relazione al quale la previsione di specifiche norme costituisce un’esigenza non differibile, è quello relativo all’illecito disciplinare. L’attuale situazione di incertezza in ordine ai comportamenti suscettibili di valutazione disciplinare deve essere superata, provvedendosi ad una specifica tipizzazione degli stessi. Il quadro della prima parte della riforma è integrato dal conferimento della delega perchè si intervenga su di un settore nevralgico dell’organizzazione del «servizio giustizia», provvedendosi alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Si intende quindi porre mano con decisione ad un generale riordino dell’attuale mappa della distribuzione territoriale degli uffici giudiziari. Si tratta di un’esigenza che assume ormai carattere di urgenza.

Gli ambiti territoriali dei tribunali e delle corti d’appello, con limitate eccezioni, risultano ancor oggi individuati sulla base di quella che era la realtà del paese molti decenni or sono, e non tiene perciò conto dell’evoluzione verificatasi, in primo luogo, nella distribuzione della popolazione sul territorio nazionale. Gli uffici del giudice di pace, d’altro canto, esaurito il termine per una sufficiente valutazione delle reali esigenze della cittadinanza in ordine alla loro dislocazione territoriale, appaiono troppo numerosi, e comportano per lo Stato oneri molto elevati e talora ingiustificati. Occorre pertanto procedere a razionalizzare la distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio, tenendo anche conto dei diversi carichi di lavoro che gravano su ciascuno di essi. Potrà in conseguenza procedersi pure alla migliore distribuzione dei magistrati nei diversi uffici, evitando il perpetuarsi dell’attuale situazione che vede alcuni uffici eccessivamente gravati di lavoro, ed altri in cui la capacità lavorativa dei magistrati non è completamente utilizzata.

La prima parte del provvedimento, strutturato nella forma della legge-delega, è completato dall’assegnazione al Governo dell’ulteriore delega all’emanazione delle norme di coordinamento e transitorie, nonchè dalla disciplina dell’iter parlamentare cui gli schemi di decreto legislativo verranno sottoposti. L’estrema delicatezza delle materie su cui il presente disegno di legge-delega è chiamato ad incidere impone di prevedere un termine adeguato, che si ritiene possa essere quantificato in due anni a decorrere dalla data di efficacia di ciascun decreto legislativo, perchè il Governo possa adottare atti normativi con funzione correttiva delle norme introdotte in attuazione della presente legge.

I provvedimenti correttivi, naturalmente, dovranno pur sempre rispettare i criteri e le direttive indicati nella medesima delega. Il secondo capo del disegno di legge detta poi nuove norme per la disciplina dell’accesso alle funzioni di legittimità, ed apporta modifiche all’organico della Corte di cassazione ed in tema di trattamento economico dei magistrati che vi prestano servizio. La Suprema Corte, infatti, deve essere restituita al suo compito connaturale di vertice della magistratura ordinaria, ed occorre perciò assicurare che alla stessa abbiano accesso solo i magistrati più meritevoli e motivati. Completa l’articolato il capo terzo, che contiene la norma relativa alla copertura finanziaria. Venendo all’esame del disegno di legge, si osserva che lo stesso risulta composto di quattordici articoli.

Con riferimento all’articolo 1, concernente in generale l’oggetto della delega relativa al capo primo e le modalità di esercizio della medesima, vale quanto detto in premessa. L’articolo 2 detta innanzitutto i princìpi e le direttive cui occorrerà attenersi per assicurare una nuova disciplina in materia di accesso alla magistratura. Occorre in tal senso riuscire a contemperare due esigenze altrettanto rilevanti. In primo luogo si deve assicurare che i concorrenti al concorso per uditore giudiziario siano soggetti estremamente qualificati in base al possesso di requisiti di certa riscontrabilità, e che soltanto tra loro sia possibile selezionare i più capaci e meritevoli, tenuto conto del ruolo di essenziale rilievo che i magistrati sono chiamati a svolgere nella società civile.

In secondo luogo si deve anche assicurare una risposta all’esigenza che le pur rigorose prove di selezione non richiedano, per il loro completamento, tempi eccessivamente lunghi. Si dispone pertanto che alle prove del concorso per uditore giudiziario possano partecipare coloro che abbiano già conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, oppure abbiano conseguito l’idoneità in un concorso bandito dalla pubblica amministrazione per il quale sia necessario il possesso della laurea in giurisprudenza.

Infine, si prevede che possano accedere al concorso coloro che abbiano conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche. Sarà in tal modo possibile assicurare che partecipino al concorso soltanto candidati di elevata qualificazione, e si conseguirà pure il risultato di ridurre il numero dei partecipanti e pertanto i tempi di espletamento delle prove. Si intende in tal modo superare il criterio di selezione dei partecipanti attualmente vigente, e fondato su una prova di pre-selezione mediante i cosiddetti quiz, che non ha assicurato i risultati attesi in termini di deflazione del lavoro delle commissioni esaminatrici, ed ha pure suscitato un elevato contenzioso. Inoltre, nell’intento di promuovere una tendenziale omogeneità nei modi di accesso alle funzioni di grado apicale delle diverse giurisdizioni, e con la finalità di garantire che siano chiamati a svolgere le funzioni di legittimità anche magistrati che non potrebbero accedervi in base alla normativa vigente, ma siano in grado di dar prova di meritare di esercitarle, si prevede che ogni anno la metà dei posti divenuti vacanti presso la Corte di cassazione sia assegnato ai vincitori di un apposito concorso per titoli ed esami, introducendosi un sistema di doppio canale di ammissione all’esercizio delle funzioni superiori che già sortisce positivi risultati per l’accesso al Consiglio di Stato, massima magistratura amministrativa.

Si reputa comunque opportuno prevedere che possano accedere al concorso i magistrati che abbiano maturato un’anzianità di carriera non inferiore a dieci anni. Tanto si dispone anche al fine di non distogliere i magistrati con minore anzianità di servizio dall’ esercizio delle funzioni di merito per un adeguato periodo di tempo, in quanto ciò consente loro di maturare un’esperienza che risulterà comunque preziosa quando saranno chiamati ad esercitare funzioni di legittimità. Il Governo dovrà inoltre dettare le norme per la disciplina del concorso e la composizione delle commissioni esaminatrici, che dovranno essere composte per due terzi da magistrati ordinari con almeno venti anni di esercizio delle funzioni e per un terzo da professori ordinari di università, avvocati che abbiano esercitato la professione forense per non meno di venti anni, ovvero un Presidente di sezione del Consiglio di Stato.

La Presidenza della commissione sarà assunta del Primo Presidente della Corte di cassazione o da un Presidente di Sezione da lui delegato, ovvero da un avvocato generale dello Stato presso la stessa Corte di legittimità. L’articolo 3 indica innanzitutto i criteri cui il Governo dovrà attenersi nel disciplinare il tirocinio e la formazione degli uditori giudiziari e l’aggiornamento professionale dei magistrati. In tal senso, in luogo dell’attuale frammentaria attività formativa, si è inteso prevedere l’istituzione presso la Corte suprema di cassazione di una scuola della magistratura, struttura didattica stabile dotata di autonomia organizzativa, specificamente preposta a curare l’attività di formazione degli uditori giudiziari e di aggiornamento professionale dei magistrati, anche ai fini della loro progressione in carriera. Gli oneri relativi all’istituzione della scuola saranno a carico del Ministero della giustizia.

Al fine di valorizzare il patrimonio di conoscenze acquisite dagli uffici che già operano presso la Corte di legittimità, si è previsto espressamente che la scuola possa avvalersi delle esperienze e delle professionalità degli uffici del massimario e del ruolo della Suprema Corte. Membri del Comitato direttivo della Scuola, che dureranno in carica quattro anni, saranno due magistrati designati dal Primo Presidente della Corte di cassazione, sentito il Procuratore Generale. Nel rispetto delle competenze costituzionalmente attribuite al Consiglio superiore della magistratura, si è inteso prevedere che gli ulteriori tre componenti del Comitato direttivo siano nominati dal Consiglio superiore della magistratura di concerto con il Ministro della giustizia, e siano scelti tra magistrati ed avvocati con non meno di venti anni di servizio o di esercizio della professione.

Possono formulare proposte relative alla programmazione e gestione dell’attività didattica, inoltre, soggetti specificamente qualificati, individuati nel Consiglio superiore della magistratura, nel Ministro della giustizia, nel Consiglio nazionale forense, nel Consiglio direttivo della Corte di cassazione di cui all’articolo 4, nei Consigli giudiziari e nei componenti del Consiglio universitario nazionale esperti in materia giuridica, così da assicurare un’offerta formativa di ampio respiro, ed in grado di avvalersi del contributo propositivo e di esperienza di cultori ed operatori del diritto anche estranei all’ordine giudiziario. Si incrementerà in tal modo la conoscenza, la collaborazione e lo scambio di idee tra i diversi operatori del diritto, allo scopo di assicurare la massima possibile efficacia del servizio giustizia.

L’adeguata formazione professionale del magistrato è un valore essenziale e la stessa non può essere impartita e valutata soltanto nel momento in cui l’uditore viene chiamato ad assumere le funzioni giudiziarie. Occorre perciò valorizzare il rilievo che deve attribuirsi ai corsi di aggiornamento professionale, prevedendosi che la Scuola della magistratura esprima all’esito dei corsi un parere su ciascun partecipante destinato ad essere inserito nel fascicolo personale. Il parere conterrà elementi di verifica attitudinale e costituirà elemento di valutazione per il Consiglio superiore per la progressione in carriera dei magistrati, nonchè per il conferimento di incarichi direttivi e semi-direttivi e per i tramutamenti.

La corretta organizzazione della Scuola impone di prevedere che tutti i magistrati possano accedere ai corsi di aggiornamento professionale. Non potendosi consentire, d’altro canto, la paralisi dell’amministrazione della giustizia che potrebbe conseguire alla contemporanea partecipazione di un numero troppo elevato di magistrati ai corsi di aggiornamento, occorre prevedere criteri per disciplinare la precedenza nell’accesso ai corsi assolutamente trasparenti, e fondati su elementi oggettivi e predeterminati. Alla medesima esigenza di non ostacolare la funzionalità degli uffici giudiziari risponde la previsione che il magistrato non possa accedere ad un nuovo corso di aggiornamento organizzato dalla scuola, prima che siano trascorsi tre anni dalla precedente partecipazione.

D’altro canto la necessità di incentivare la partecipazione dei magistrati ai corsi di aggiornamento professionale lungo l’intero arco della carriera, impone la previsione che il parere espresso dalla Scuola al termine dei corsi conservi validità per un periodo di tempo non superiore a sei anni. Inoltre, la necessità di facilitare la partecipazione dei magistrati ai corsi organizzati dalla scuola importa la previsione che gli ammessi ai corsi, i quali non potranno avere durata superiore ai due mesi, compatibilmente con le comprovate e motivate esigenze funzionali degli uffici giudiziari ed a richiesta dell’interessato, possano godere di un periodo di congedo retribuito pari alla durata del corso.

L’articolo 4 detta i princìpi della delega in materia di riforma dei Consigli giudiziari. In primo luogo, si prevede l’istituzione del Consiglio direttivo della Suprema Corte di cassazione, strutturato nel rispetto dei medesimi princìpi valevoli pure per la composizione ed il funzionamento degli altri Consigli giudiziari. In conformità con le indicazioni programmatiche espresse dal Governo, viene poi previsto l’allargamento della composizione dei Consigli giudiziari (che attualmente si avvalgono dell’operato di sette membri effettivi e tre supplenti, tutti magistrati) in considerazione del previsto cospicuo incremento delle attribuzioni dei medesimi, ed anche al fine di consentire, secondo un equilibrato rispetto del principio di proporzionalità, la partecipazione ad essi di esperti di diritto e di componenti designati dalle regioni.

Viene, pertanto, previsto che dei Consigli giudiziari siano chiamati a far parte, oltre a cinque magistrati – tra i quali il Presidente della Corte d’appello ed il Procuratore generale, componenti di diritto – anche quattro esponenti, di cui uno nominato tra i professori ordinari di università in materie giuridiche, uno tra gli avvocati che abbiano maturato almeno quindici anni di esercizio della professione e pertanto esperti nella conoscenza del «servizio giustizia», e due eletti a maggioranza qualificata dal Consiglio della regione in cui ha sede il distretto di Corte d’appello interessato.

Si reputa, comunque, opportuno prevedere che i rappresentanti dei consigli regionali non prendano parte alle deliberazioni attinenti lo stato ovvero l’attività dei magistrati. In conseguenza di quanto in precedenza osservato, viene ampliato anche il numero dei membri supplenti dei Consigli giudiziari, e si prevede che tre posti siano da riservare, uno ciascuno, ai professori universitari, agli avvocati ed ai soggetti designati dalle regioni, mentre i due ulteriori componenti supplenti dovranno essere eletti tra i magistrati togati del distretto. Gli altri membri non togati, titolari e supplenti, dei Consigli giudiziari saranno invece nominati dal Consiglio nazionale forense ovvero dal Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei Consigli dell’ordine degli avvocati del distretto e dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università della regione.

In analogia con quanto previsto per il Consiglio superiore della magistratura, si ritiene poi necessaria la riforma delle modalità di elezione dei componenti togati del Consiglio giudiziario, dovendosi inoltre fissare la durata in carica dello stesso nel termine di quattro anni, stimandosi insufficiente, per la migliore funzionalità dell’organo, il termine di durata in carica attualmente previsto, pari a due anni. La delega attribuita ai sensi dell’articolo in commento, come anticipato, intende assicurare l’ampliamento delle attribuzioni dei Consigli giudiziari, strutture più agili del Consiglio superiore della magistratura e che più facilmente possono acquisire una conoscenza dettagliata della realtà degli uffici giudiziari e dei magistrati del distretto. In tal senso, i Consigli giudiziari provvederanno all’approvazione delle tabelle degli uffici giudiziari, da redigere nel rispetto delle direttive impartite con legge, salva restando la possibilità per gli interessati di proporre reclamo innanzi al Consiglio superiore della magistratura.

Ai Consigli giudiziari è pure attribuita la competenza a decidere in materia di provvedimenti relativi allo status dei magistrati, con particolare riferimento ad aspettative e congedi, dipendenza di infermità da cause di servizio, equo indennizzo, pensioni privilegiate e concessione di sussidi. Competerà inoltre ai Consigli giudiziari il rilascio di pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore, circa l’attività dei magistrati del distretto, pure in occasione dei momenti di progressione in carriera dei medesimi, ed in generale competerà loro esprimere pareri in ordine a tutti gli atti relativi allo status giuridico dei magistrati (dimissioni, decadenza dall’ impiego, riammissioni in magistratura). Ai Consigli giudiziari competerà ancora di vigilare sul comportamento dei magistrati del distretto, con obbligo di segnalare i fatti disciplinarmente rilevanti ai titolari dell’azione disciplinare. Inoltre, ai consigli giudiziari deve attribuirsi un esteso potere di vigilanza sull’andamento del servizio giustizia nel distretto, e di segnalazione al Ministro della giustizia delle eventuali disfunzioni riscontrate. Infine, ai Consigli giudiziari è attribuita una specifica competenza in materia di formulazione di pareri e proposte sull’organizzazione ed il funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto.

Nel dettare all’articolo 5 i princìpi ed i criteri cui il Governo dovrà attenersi nell’emanare le norme disciplinanti il passaggio dall’esercizio delle funzioni giudicanti a quelle referenti e viceversa, si è ritenuto di rispondere, anche sulla scorta dell’esperienza maturata in altri paesi di avanzata democrazia, all’esigenza ormai largamente diffusa nella cittadinanza secondo cui occorre prevedere una specifica distinzione tra i magistrati che esercitano le funzioni giudicanti e requirenti. La distinzione delle funzioni appare necessaria anche al fine di consentire l’affermazione di un dato di fatto peraltro innegabile, costituito dalla constatazione che le due funzioni richiedono una diversa formazione e diverse attitudini professionali.

Occorre pertanto assoggettare ad un’attenta valutazione il magistrato che intenda cambiare le proprie funzioni, al fine di accertare che egli possegga i requisiti richiesti per quella che intende esercitare, ed occorre che lo stesso possa essere ammesso a fruire di uno specifico corso di qualificazione professionale organizzato dalla Scuola della magistratura. Non può, peraltro, corrersi il rischio della paralisi dell’operatività degli uffici giudiziari al solo fine di consentire al magistrato che intenda passare a diverse funzioni di essere continuativamente impegnato nella frequenza di corsi di qualificazione professionale, quando egli non riesca a superarli con esito positivo. È necessario perciò prevedere che tra la partecipazione ad un corso di qualificazione professionale per il passaggio delle funzioni da giudicante a requirente o viceversa, ed un altro, debba decorrere necessariamente il termine minimo di tre anni.

Neppure può prevedersi che l’attestazione di idoneità al passaggio delle funzioni, espressa in favore di un magistrato che abbia positivamente concluso il corso di qualificazione professionale organizzato dalla Scuola della magistratura, il cui possesso costituisce requisito necessario perchè il magistrato sia legittimato a concorrere per il conferimento di una funzione diversa da quella esercitata, possa valere senza limiti di tempo. La rapidità con cui l’ordinamento giuridico si modifica nel tempo corrente, e con esso la professionalità richiesta ai giudici che sono chiamati ad applicarlo, comporta che un giudizio di idoneità espresso alcuni lustri prima, nulla sia in grado di assicurare circa l’attitudine del magistrato ad esercitare le funzioni cui chiede di essere assegnato in epoca di molto successiva. Risulta pertanto equo prevedere che il positivo superamento del corso di qualificazione professionale per il passaggio delle funzioni abiliti il magistrato a concorrere per il conferimento delle diverse funzioni per il periodo massimo di tre anni.

L’esigenza di ovviare al rischio che l’esercizio di funzioni profondamente diverse come quelle giudicanti e requirenti in un medesimo ambito territoriale possa nuocere all’immagine del magistrato ed indurre a ragioni di sospetto circa la sua indipendenza, autonomia ed imparzialità, impone di prevedere che il magistrato ammesso al passaggio delle funzioni non possa comunque esercitare quelle di destinazione in un ufficio avente sede nel medesimo distretto.

All’articolo 6, tenuto conto del rilievo degli interessi coinvolti e di cui occorre effettuare una valutazione comparativa, si è inteso dettare criteri rigidi e trasparenti circa la disciplina della temporaneità degli incarichi direttivi. Si è pertanto previsto che il magistrato chiamato allo svolgimento di una funzione direttiva possa esercitarla per un periodo di tempo non superiore ad anni quattro. La considerazione del valore dell’esperienza maturata nel ruolo al fine di assicurare la migliore funzionalità dell’ufficio, consente poi di prevedere la possibilità del rinnovo dell’incarico direttivo al magistrato che si sia distinto per particolari meriti. Dovendosi in tal caso comunque fissare un termine massimo di durata di esercizio della medesima funzione direttiva, si ritiene corretto che il rinnovo non possa essere accordato per un periodo superiore a due anni.

Non si rinvengono ragioni adeguate per escludere che il magistrato il quale abbia esercitato funzioni direttive possa essere ammesso ad esercitarle ancora in diverso ufficio. Tuttavia le stesse motivazioni che inducono a ritenere necessaria la previsione della temporaneità dell’esercizio delle funzioni direttive esposte in premessa, impongono di prevedere che il magistrato il quale abbia esercitato funzioni direttive possa ancora esercitarne, a condizione che l’incarico sia conferito per un ufficio giudiziario avente sede in un diverso distretto. Con norma di chiusura si è reso necessario indicare l’ufficio cui dovrà essere assegnato il magistrato che sia cessato dall’esercizio di funzioni direttive, qualora lo stesso non abbia inteso proporre domanda di assegnazione a diverso ufficio direttivo, oppure la sua domanda, pur proposta, non sia stata accolta.

All’articolo 7 sono dettati i criteri che il Governo dovrà seguire per la completa riforma dell’illecito disciplinare. L’esigenza di civiltà di assicurare la certezza delle norme che disciplinano dell’istituto, ampiamente avvertita, impone infatti di provvedere alla specifica tipizzazione delle condotte idonee a giustificare la promozione dell’azione disciplinare. Inoltre, occorre provvedere ad indicare le sanzioni che possono conseguire alle diverse violazioni, da individuare nel rispetto del principio di proporzionalità.

L’articolo 8 pone quindi i criteri per poter operare una vera e propria rivoluzione copernicana della geografia giudiziaria, realizzando la revisione organica e completa della suddivisione per territorio degli uffici giudiziari. La disposizione è finalizzata a razionalizzare l’estensione territoriale dei distretti delle Corti di appello nonchè dei circondari dei tribunali e delle circoscrizioni territoriali degli uffici del giudice di pace ricompresi in tali distretti. In particolare, a seguito di un periodo di sperimentazione che si reputa ormai adeguato, è opportuno porre mano ad una verifica che gli uffici del giudice di pace istituiti rispondano tutti ad esigenze reali dei cittadini e ad un tempo soddisfino pure l’intento di assicurare l’efficienza nell’amministrazione della giustizia.

Nell’esercitare la delega il Governo potrà sia ridefinire i confini dei diversi distretti, circondari e circoscrizioni territoriali, sia eventualmente crearne di nuovi, tramite l’accorpamento o la soppressione di quelli esistenti ovvero la sottrazione ai medesimi di parti di territorio. Infine, allo scopo di permettere la più ampia flessibilità gestionale, viene prevista, oltre la possibilità di dislocare gli uffici giudiziari al di fuori della relativa circoscrizione territoriale, pure quella di creare più uffici giudiziari di pari grado all’interno del medesimo territorio comunale. Attraverso tali strumenti sarà possibile risolvere situazioni di particolare sofferenza del sistema, riducendo il carico di lavoro gravante su taluni uffici giudiziari e permettendo una più razionale distribuzione delle competenze sul territorio.

Il capo secondo del disegno di legge provvede a dettare innanzitutto, all’articolo 9, nuove norme perchè i magistrati possano conseguire il conferimento delle funzioni di legittimità. Si dispone pertanto che i posti resisi disponibili siano innanzitutto ripartiti dal Consiglio superiore tra le sezioni civili e penali e, quindi, che i posti non destinati – a far data dall’anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo di cui alla delega innanzi esaminata – ad essere assegnati mediante il concorso di cui all’articolo 2, siano pubblicati ed assegnati dal Consiglio superiore previo parere della Commissione speciale per le funzioni di legittimità. L’articolo 10 provvede pertanto a disciplinare la composizione di detta Commissione. Sempre al fine di assicurare un proficuo confronto tra soggetti esperti del diritto che abbiano maturato diverse esperienze professionali, pertanto, si è previsto che della Commissione facciano parte, oltre a due magistrati che esercitano le funzioni giudicanti presso la Corte di cassazione ed uno che esercita funzioni di legittimità presso la Procura generale, anche due professori universitari di ruolo.

Nell’intento di assicurare il costante collegamento tra gli organi di vertice della magistratura, si è previsto che i componenti della Commissione saranno scelti dal Consiglio superiore, nell’ambito di una lista predisposta dal Ministro della giustizia. I membri della Commissione eleggeranno nel loro ambito il Presidente, mentre il più giovane in età eserciterà le funzioni di Segretario. La durata in carica dei componenti della Commissione rimane fissata in quattro anni e l’esigenza di evitare la formazione di centri di potere che, indipendentemente dalle reali condotte dei componenti, possano suscitare sospetti di parzialità, induce a prevedere, in analogia con quanto disposto in relazione ai membri del Consiglio superiore, che i commissari non possano essere immediatamente confermati nell’incarico. L’assoluto rilievo dei compiti attribuiti ai componenti della Commissione, che comporterà per loro un significativo impegno, induce a prevedere che gli stessi percepiscano un gettone di presenza da porre a carico del bilancio del Consiglio superiore, che provvederà pure a determinarne l’ammontare entro un limite massimo predefinito.

L’articolo 11 disciplina specificamente le attribuzioni della Commissione. Quest’ultima provvederà innanzitutto ad accertare le specifiche attitudini degli aspiranti all’esercizio delle funzioni di legittimità. A tal fine valuterà l’attività svolta negli ultimi cinque anni, la qualità del servizio prestato, il rispetto dei doveri inerenti l’ufficio e le funzioni esercitate, anche avvalendosi dei dati statistici e provvedendo ad esaminare i provvedimenti redatti. La Commissione è inoltre chiamata a valutare ogni altro elemento concernente l’attività professionale dei candidati come pure l’eventuale attività scientifica da questi svolta mediante, ad esempio, la partecipazione a convegni in qualità di relatore e la pubblicazione di scritti di dottrina. Con norma di chiusura, dovendo il giudizio della Commissione essere fondato sulla più ampia gamma di elementi utili, si è previsto che la stessa possa tener conto di ogni altro fatto ritenuto significativo ai fini della valutazione. Il parere espresso dalla Commissione in ordine all’attitudine dell’aspirante ad esercitare le funzioni di legittimità sarà quindi comunicato all’ aspirante e trasmesso al Consiglio superiore, che provvederà a farlo allegare nel fascicolo personale dell’ interessato.

All’articolo 12 sono state quindi dettate le norme per rivedere la pianta organica della Corte di cassazione. Occorre allora in primo luogo evidenziare che non risultano istituiti ulteriori posti di magistrati destinati alla Corte di cassazione. La finalità della riforma, infatti, consiste nella razionalizzazione dell’ utilizzazione delle risorse professionali disponibili. Si provvede pertanto, in primo luogo, a sopprimere quindici posti destinati ad essere coperti da magistrati d’appello e previsti in organico presso la Suprema Corte, nonchè tutti i posti previsti presso la Procura generale della Corte di cassazione e destinati ad essere coperti da magistrati d’appello, e la istituzione in vece dei posti soppressi di altrettanti posti destinati a magistrati che abbiano ottenuto il conferimento delle funzioni di legittimità. Questi ultimi presteranno servizio presso la Suprema Corte o la Procura generale, nella medesima proporzione dei posti soppressi.

La volontà già ricordata, ed indirizzata a consentire ai più valenti tra i magistrati, anche se non ancora in possesso di una elevata anzianità professionale, di poter accedere alle funzioni di legittimità induce a ritenere opportuna la soppressione di ulteriori quindici posti destinati ai magistrati d’appello assegnando gli stessi a magistrati di tribunale. Ancora, la norma in esame prevede il potenziamento degli uffici del massimario e del ruolo presso la Suprema Corte, anche in considerazione dei compiti loro attribuiti nell’ ambito della Scuola della magistratura. Le illustrate modifiche impongono naturalmente la revisione della pianta organica della Corte di cassazione e della Procura generale presso la Suprema Corte. La necessaria norma di chiusura risponde all’esigenza di evitare il rallentamento dell’operatività negli uffici in cui alcuni posti sono stati soppressi. Si prevede, perciò, che i magistrati che attualmente operano in tali uffici siano comunque trattenuti in servizio e, se in possesso dei requisiti richiesti, ottengano il conferimento delle funzioni di legittimità.

L’articolo 13 prevede quindi il riconoscimento di un’indennità di trasferta ai magistrati che siano effettivamente nell’esercizio delle funzioni di legittimità presso la Suprema Corte e la relativa Procura generale, nonchè ai magistrati in servizio presso le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e presso le sezioni giurisdizionali centrali della Corte dei conti e la relativa Procura generale. La norma intende assicurare un dovuto riconoscimento ai magistrati che sono investiti dei più rilevanti compiti giudiziari, e garantire un’integrazione economica che possa costituire un incentivo per i magistrati a porre il massimo impegno al fine di conseguire il conferimento delle funzioni superiori, anche quando essi risiedano lontano dalla sede dei relativi uffici giurisdizionali.

Completa il provvedimento l’articolo 14, che detta la norma di copertura finanziaria.